Inchieste
Nord Corea, APT37: una costola di Lazarus? La storia di Reaper, dei suoi ransomware e dei malware a doppia infezione
La Corea del Nord ha un terzo gruppo APT statale su cui cadono spesso sospetti di correlazione al ben più noto Lazarus. Il nome è Reaper, conosciuto anche come APT37, ed ha come obiettivo principalmente la Corea del Sud con grande interesse su Giappone, Vietnam e Medio Oriente, rivolgendo i suoi attacchi a vari settori industriali verticali, tra cui prodotti chimici, elettronica, produzione, aerospaziale, automobilistico e sanitario.
Il 10 giugno del 2016, la società di web hosting NAYANA, con sede in Corea del Sud, è diventata una delle ultime vittime di alto profilo del ransomware, dopo che 153 dei suoi server Linux sono stati trovati infettati da una variante del ransomware Erebus. L’attacco ransomware ha colpito i siti web, i database e i file multimediali di circa 3.400 aziende che utilizzavano il servizio di NAYANA ed i criminali informatici hanno forzato con successo NAYANA a pagare il riscatto per decifrare i file infetti.
Il ransomware Erebus (RANSOM_EREBUS.A) è emerso per la prima volta lo scorso settembre 2016, distribuito da malvertisement (pubblicità dannose). Gli annunci maligni hanno deviato le vittime verso l’exploit kit Rig, che infetta i sistemi della vittima con il ransomware. Questa variante di Erebus prende di mira 423 tipi di file, strapazza i file con l’algoritmo di crittografia RSA-2048 e aggiunge ai file colpiti l’estensione .ecrypt. Questa versione di Erebus è stata osservata utilizzare siti web compromessi in Corea del Sud come server di comando e controllo (C&C).
Nel febbraio 2017, si è scoperto che Erebus si è evoluto e ha cambiato tattica, utilizzando una tecnica che aggira lo User Account Control (UAC), una funzione di Windows che aiuta a prevenire modifiche non autorizzate nel sistema, per eseguire il ransomware con privilegi elevati. Nella sua nota di riscatto, Erebus minacciava di cancellare i file della vittima entro 96 ore a meno che non venga pagato il riscatto. Questa versione (RANSOM_EREBUS.TOR) cancellava anche le copie ombra per impedire alle vittime di recuperare i loro file.
La variante che ha infettato i server di NAYANA è il ransomware Erebus portato ai server Linux. Le analisi in di Trend Micro hanno indicato che questa versione utilizza l’algoritmo RSA per crittografare le chiavi AES; i file infetti sono crittografati con chiavi AES uniche. I suoi meccanismi di persistenza includevano l’aggiunta di un falso servizio Bluetooth per garantire che il ransomware venga eseguito anche dopo il riavvio del sistema o del server. Utilizzava anche il cron UNIX, un’utilità nei sistemi operativi Unix-like come Linux che pianifica i lavori tramite comandi o script di shell, con lo scopo di controllare ogni ora se il ransomware era in esecuzione. Simile al caso di NAYANA, originariamente chiedeva 10 Bitcoin, ma il riscatto è scendeva a 5 BTC e prendeva di mira 433 tipi di file come:
- Documenti d’ufficio (.pptx, .docx, .xlsx)
- Database (.sql, .mdb, .dbf, .odb)
- Archivi (.zip, .rar)
- File di posta elettronica (.eml, .msg)
- File relativi a siti web e progetti di sviluppo (.html, .css, .php, .java)
- File multimediali (.avi, .mp4)
All’inizio del 2016 Kaspersky Lab ha catturato un exploit Adobe Flash zero-day (CVE-2016-1010). All’inizio di questo mese, la nostra tecnologia ha catturato un altro exploit zero-day di Adobe Flash Player distribuito in attacchi mirati. Gli attacchi sono stati identificati nell’APT 37, da loro nominati “ScarCruft”. L’operazione denominata “Daybreak” utilizzava un exploit di Adobe Flash Player precedentemente sconosciuto (0-day). È anche possibile che il gruppo abbia distribuito un altro exploit zero day, CVE-2016-0147, che è stato risolto nell’aprile dello stesso anno. L’operazione Daybreak sembra essere stata lanciata da aggressori sconosciuti per infettare obiettivi di alto profilo attraverso e-mail di spear-phishing. Il vettore esatto dell’attacco è rimasto sconosciuto, ma gli obiettivi hanno ricevuto un link dannosi che puntavano a un sito web violato dove era ospitato il kit di sfruttamento e si scoperto che era già stato usato dall’APT 37.
Come Operation Daybreak, anche Operation Erebus sfruttava un altro exploit di Flash Player (CVE-2016-4117) attraverso l’uso di attacchi watering hole. Nel caso dell’Operazione Daybreak, il sito web violato che ospitava l’exploit kit esegue un paio di controlli del browser prima di reindirizzare il visitatore a un server controllato dagli attaccanti ospitati in Polonia. Lo script della pagina principale dell’exploit conteneva un decodificatore BASE64, così come la decrittazione rc4 implementata in JS.
Il processo di sfruttamento consisteva in tre oggetti Flash, tra cui quello che innescava la vulnerabilità in Adobe Flash Player si trovava nel secondo SWF consegnato alla vittima.
Alla fine della catena di sfruttamento, il server inviava un file PDF legittimo all’utente – “china.pdf“. Il file “china.pdf” mostrato alle vittime nell’ultima fase dell’attacco sembra essere scritto in coreano.
L’unità 42 ha scoperto una campagna che sfruttava un dropper personalizzato e non segnalato in precedenza e che veniva utilizzato per fornire esche collegate alla Corea del Sud ed alla Corea del Nord. Queste esche ruotavano intorno a una serie di soggetti, tra cui varie criptovalute, scambi di criptovalute ed eventi politici. Sulla base di varie informazioni testimoniate all’interno di questo dropper, l’Unità 42 ha soprannominato questa famiglia di malware CARROTBAT dopo averscoperto l’attacco nel dicembre 2017 contro un’agenzia governativa britannica utilizzando la famiglia di malware SYSCON: un semplice Trojan di accesso remoto (RAT) che utilizza il protocollo di trasferimento file (FTP) per le comunicazioni di rete. Mentre non ci sono prove che questo attacco contro un’agenzia governativa britannica abbia fatto uso del dropper CARROTBAT, ma sono state trovate sovrapposizioni all’interno dell’infrastruttura di questo attacco che alla fine hanno portato alla scoperta iniziale di CARROTBAT, così come ad altri legami tra queste due famiglie di malware.
Il 13 dicembre 2017, un’email di spear phishing è stata inviata dall’indirizzo email di yuri.sidorav@yandex[.]ru a un individuo di alto livello all’interno di un’agenzia governativa britannica.
La campagna denominata Fractured Block comprendeva tutti i campioni di CARROTBAT identificati fino a quel momento ai quali venivano associati 11 formati di file di documenti esca sono supportati da questo malware:
- doc
- .docx
- .eml
- .hwp
- .jpg
- .png
- .ppt
- .pptx
- .xls
- .xlsx
La maggior parte dei documenti esca che hanno preso di mira le vittime in Corea erano legati alle criptovalute. In un caso unico tra quelli emersi, l’esca conteneva un biglietto da visita appartenente a un individuo che lavorava presso COINVIL: un’organizzazione che ha annunciato piani per costruire una borsa di criptovaluta nelle Filippine nel maggio 2018.
Ulteriori soggetti di esca hanno incluso eventi politici tempestivi, come le relazioni tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord, così come un viaggio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump allo sotrico vertice a Singapore con Kim Jong Sum 3.
I carichi utili per i campioni CARROTBAT variavano. Originariamente, tra i periodi da marzo 2018 a luglio 2018, sono state osservate più istanze della famiglia di malware SYSCON. Questi campioni comunicavano con i seguenti host tramite FTP per la comunicazione C2:
- ftp.byethost7[.]com
- ftp.byethost10[.]com
- files.000webhost[.]com
A partire da giugno 2018, abbiamo osservato che la famiglia di malware OceanSalt è stata rilasciata da CARROTBAT e sono state trovate successivamente delle sovrapposizioni anche con Konni Rat e come visto Syscon, ma questo ha fatto sospettare un coinvolgimento di Lazarus nell’APT37.
Palo alto ha scoperto che l’APT37 utilizza tecniche comuni di consegna del malware come lo spear phishing e le Strategic Web Compromises (SWC). Come in Operation Daybreak, questo attore esegue attacchi sofisticati utilizzando un exploit zero-day. Tuttavia, a volte l’utilizzo di un codice exploit pubblico è più rapido ed efficace per gli autori di malware. Abbiamo visto questo attore testare ampiamente un exploit pubblico noto durante la sua preparazione per la prossima campagna.
Al fine di distribuire un impianto per il payload finale, APT37 utilizzava uno schema di infezione binaria a più stadi. Di norma, il dropper iniziale era creato dalla procedura di infezione ed una delle sue funzioni più impressionanti era quella di bypassare l’UAC (User Account Control) di Windows al fine di eseguire il payload successivo con privilegi più elevati. Questo malware utilizzava il codice exploit di escalation dei privilegi pubblico CVE-2018-8120 o UACME normalmente utilizzato da squadre rosse legittime.
Successivamente, il malware installatore creava un downloader ed un file di configurazione dalla sua risorsa e lo eseguiva. Il malware downloader utilizzava il file di configurazione e si connetteva al server C2 per recuperare il payload successivo. Al fine di eludere il rilevamento a livello di rete, il downloader utilizzava la steganografia dove il carico utile scaricato era un file immagine, seppur contenente un payload malevolo da decifrare. Il payload finale creato dal suddetto processo generava una nota backdoor, conosciuta anche come ROKRAT da Cisco Talos e basata su servizi cloud con molte caratteristiche. Una delle sue funzioni principali era quella di rubare informazioni. All’esecuzione, questo malware creava 10 percorsi di directory casuali e li usava per uno scopo appositamente designato. Il malware creava 11 thread contemporaneamente: sei thread responsabili del furto di informazioni dall’host infetto e cinque per l’inoltro dei dati raccolti a quattro servizi cloud (Box, Dropbox, Pcloud e Yandex). Quando caricava i dati rubati su un servizio cloud, utilizzava un percorso di directory predefinito come /english, /video o /scriptout. Lo stesso malware conteneva funzionalità complete di backdoor. I comandi erano scaricati dal percorso /script di un fornitore di servizi cloud e i rispettivi risultati di esecuzione venivano caricati nel percorso /scriptout. Supportava i seguenti comandi, che risultavano sufficienti per controllare completamente l’host infetto:
- Ottenere l’elenco dei file/processi
- Scarica il payload aggiuntivo ed eseguilo
- Eseguire il comando di Windows
- Aggiornare i dati di configurazione, comprese le informazioni del token del servizio cloud
- Salvare screenshot e una registrazione audio
Inchieste
I Core Update di Google censurano Internet e fomentano truffe SEO
Da quando è iniziata l’epoca dell’intelligenza artificiale, Google sta trasformando la rete. Google ha la capacità di farlo? Assolutamente sì, essendo l’azienda monopolista su cui si basa il maggior numero di ricerche online. Non solo grazie al suo motore di ricerca, ma anche grazie a YouTube, un altro potente motore di ricerca video appartenente alla stessa azienda statunitense.
L’aspetto più importante di questa situazione, già descritto da Matrice Digitale, riguarda la componente su cui Google sta basando la ricerca. Nei risultati si trovano spesso aziende con solidi rapporti con la società e considerate autorevoli. Stiamo assistendo a cambiamenti significativi nel mondo della ricerca, dipendenti dalle scelte editoriali di Google, azienda che sembra non riuscire a trovare una linea chiara oppure ce l’ha e non risulta essere la migliore per la totalità degli utenti e degli imprenditori.
SEO prima vittima ed Editori privilegiati
Le prime vittime sono stati i siti internet che per anni hanno lavorato sul posizionamento SEO (Search Engine Optimization). Questa attività ha subito cambiamenti radicali, soprattutto a causa dei Core Update di Google: aggiornamenti strutturali dell’algoritmo che determinano il posizionamento delle pagine. Il funzionamento esatto di questi aggiornamenti non è chiaro, ma esistono sospetti che non si tratti di un algoritmo autonomo. Emergono ipotesi di rapporti diretti tra Google e aziende editoriali, che ricevono finanziamenti per produrre informazione. Un tempo garantiti dallo Stato, questi fondi provengono ora da privati verso altri privati. Un settore, quello di Google News, che rappresenta una lobby gestita dai soliti noti ed in mano alla politica così come raccontato nell’inchiesta a tema di Matrice Digitale.
Google fa politica, riscrive la storia e chiude il mercato
Google non risponde solo a logiche commerciali, ma mostra un indirizzo politico, influenzato da lobbisti e dinamiche globali. Con l’eventuale ritorno di Donald Trump, potrebbe modificare il proprio posizionamento sui contenuti visibili in rete anche se ad oggi risulta essere in antitesi alla cordata di Musk dove si sono aggregati dopo l’esito delle elezioni sia Zuckerberg sia Bezos con tanto di strizzatina d’occhio da parte di Gates.
Un altro aspetto rilevante è l’ascesa di nuovi motori di ricerca basati su intelligenza artificiale, come SearchGPT di OpenAI, che fornisce risposte in base a domande anziché parole chiave. Questo fenomeno solleva questioni legate a linee politiche imposte da multinazionali, governi e organi sovranazionali.
Google sta riscrivendo la storia: deindicizza o rende inutili contenuti alternativi rispetto alla narrazione mainstream dell’informazione, della ricerca scientifica e della politica. Giornalisti e artisti vengono relegati in fondo ai risultati di ricerca, generando caos tra chi si occupa di ottimizzazione dei contenuti e chi cerca di emergere nel panorama informativo.
I Core Update e l’esempio della manina dietro l’algoritmo
I Core Update premiano spesso siti improbabili a scapito di quelli storici e di qualità. L’ottimizzazione della ricerca proposta da Google si basa su due principi: la velocità di caricamento e l’autorevolezza. La velocità è valutata tramite i Core Web Vitals, mentre l’autorevolezza si costruisce attraverso citazioni da fonti ritenute autorevoli. Questo sistema ha spinto le testate editoriali a omettere chi ha dato la notizia per primo, modificando il panorama giornalistico oltre a fomentare un mercato parallelo di citazioni a pagamento sulla base di insider trader all’interno delle redazioni di siti posizionati con un ottimo page rank.
Google censura le notizie e non premia il giornalismo
Google dovrebbe premiare, secondo regole meritocratiche, chi fornisce le notizie in anteprima. Tuttavia, l’algoritmo sembra invece favorire chi mantiene rapporti privilegiati con l’azienda. Parallelamente, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei contenuti ha premiato siti di affiliazione di dubbia qualità, dimostrando l’incoerenza del sistema dove richiede contenuti esclusivi per poter indicizzare in modo privilegiato i contenuti. Google censura inoltre notizie esclusive, che spesso non appaiono tra i risultati di ricerca nelle categorie news o video e non è chiaro secondo quale principio.
Google facilita le truffe nel mercato SEO ?
Le regole opache di Google stanno trasformando il settore, creando difficoltà a chi si occupa di SEO, costringendo molti professionisti a cambiare mestiere o a proporre servizi poco efficaci.
Questa situazione sta livellando il mercato verso il basso. Da un lato, esistono persone oneste ma impreparate; dall’altro, truffatori che approfittano di aziende incapaci di navigare le nuove regole. I Core Update stanno favorendo un sottobosco di figure poco professionali, aumentando la sfiducia nelle opportunità offerte da Internet.
Il web, un tempo simbolo di libertà e accessibilità, sta diventando un luogo sempre più chiuso e costoso. Oggi, per emergere, non basta più creare un blog o un sito di qualità: bisogna investire ingenti somme per promuovere contenuti indicizzati ma invisibili senza la garanzia di un ritorno. Questo sistema alimenta il business dei social network, creando un cartello economico che avvantaggia un ristretto gruppo di grandi aziende.
La rete sta subendo una trasformazione radicale, diventando sempre meno libera e non solo per quanto riguarda la varietà delle informazioni, ma anche per le possibilità di accesso al mercato globale. I contenuti vengono manipolati per favorire narrazioni di parte, alimentando sistemi propagandistici, a volte anche di tipo militare visti gli ultimi tempi, capaci di spingere intere società verso conflitti prima social e, in casi estremi, globali.
Inchieste
Stalking, bullismo e Report Bombing su Vinted: assistenza latita
Tempo di lettura: 3 minuti. La storia di Chiara, vittima di report bombing su Vinted, evidenzia gravi carenze nella gestione dei reclami e nella protezione degli utenti da bullismo e stalking digitale.
Le piattaforme di e-commerce e scambio di beni usati, come Vinted, sono sempre più diffuse grazie alla loro capacità di connettere persone in cerca di convenienza e sostenibilità. Tuttavia, quando il sistema di gestione dei reclami e la moderazione non funzionano come dovrebbero, queste piattaforme possono trasformarsi in un terreno fertile per abusi e vessazioni al limite dello stalking. Questo è il caso di una venditrice esperta, che chiameremo Chiara, la cui esperienza raccontata in ESCLUSIVA a Matrice Digitale getta luce su gravi falle nella gestione di problematiche critiche da parte di Vinted e della tecnica del Report Bombing subita per mesi.
Dieci mesi di vessazioni
Chiara, iscritta su Vinted dal 2021 con un profilo di alta reputazione (340 recensioni, 4.9 di rating), si è trovata vittima di un autentico report bombing. Dopo un diverbio con un’utente aggressiva sul forum, il suo account è diventato il bersaglio di segnalazioni continue, apparentemente infondate. Secondo quanto riferito, l’utente in questione ha dedicato mesi a segnalare ripetutamente i suoi articoli, portando alla rimozione di inserzioni, al blocco temporaneo dell’account e, infine, a una sospensione permanente.
Le segnalazioni, spesso ridicole, includevano accuse di:
- Vendita di articoli inesistenti o doppi (anche quando non lo erano).
- Violazioni di copyright, nonostante Chiara avesse dimostrato di essere l’autrice delle immagini.
- Vendita di brand contraffatti, malgrado fossero presenti etichette, scontrini e altri documenti di autenticità.
- Articoli ritenuti non sicuri, senza prove concrete.
Nonostante le numerose prove fornite da Chiara, Vinted ha risposto con messaggi preconfezionati e, nei casi di insistenza, con risposte giudicate sgarbate e prive di umanità.
Assenza di tutela e inadeguatezza dell’assistenza
Chiara ha segnalato ripetutamente le minacce ricevute, allegando prove documentali, ma le sue richieste sono rimaste inascoltate. Paradossalmente, l’utente che ha perpetuato il report bombing continua a utilizzare la piattaforma indisturbata, nonostante alcune recensioni la descrivano come una persona problematica.
Dopo mesi di tentativi infruttuosi, Chiara ha aperto un reclamo presso un organo europeo (ODR), ma anche in questo caso non ha ottenuto alcuna risposta. Ha inoltre tentato di contattare Vinted attraverso l’indirizzo email legal@vinted.it, indicato come riferimento per controversie legali, senza ricevere alcun riscontro.
La questione del bullismo sulle piattaforme digitali
L’esperienza di Chiara mette in evidenza un problema sistemico. Nonostante il grande successo di Vinted, la piattaforma sembra trascurare l’importanza di una gestione responsabile delle problematiche degli utenti favorendo non solo il proliferare di truffe, ma anche la stalking ai danni dei venditori. Le accuse di bullismo e stalking digitale non possono essere ignorate, soprattutto quando si tratta di episodi documentati con prove.
La mancanza di un’assistenza adeguata solleva interrogativi sulla capacità di Vinted di proteggere i propri utenti da abusi e vessazioni. In un’era in cui le denunce per comportamenti scorretti online sono in aumento, è essenziale che piattaforme di questa portata si dotino di strumenti efficaci per contrastare episodi di cyberbullismo e stalking.
La vicenda di Chiara non è un caso isolato, sono tante le anomalie raccontate da Matrice Digitale su Vinted ed il suo sistema spesso claudicante nel garantire venditori e consumatori vittime di truffe e minacce, ma rappresenta un esempio emblematico di come l’assenza di un’assistenza efficace possa esacerbare situazioni già gravi. È fondamentale che Vinted e altre piattaforme simili rivedano le loro politiche di moderazione e assistenza, adottando un approccio più umano e trasparente per garantire la sicurezza e la tutela di tutti gli utenti.
Inchieste
Elezioni annullate in Romania: cosa è successo? E’ un colpo di stato?
Tempo di lettura: 5 minuti. Romania annulla le elezioni presidenziali: 85.000 cyberattacchi e manipolazione su TikTok costringono a ripetere il primo turno.
La Romania si trova nel mezzo di una crisi politica e tecnologica senza precedenti: la Corte Costituzionale ha annullato il primo turno delle elezioni presidenziali dopo oltre 85.000 attacchi informatici contro i sistemi elettorali e un’influenza significativa su TikTok attribuita a campagne coordinate. Questi eventi hanno portato all’annullamento del ballottaggio previsto e all’intervento della Commissione Europea per indagare su manipolazioni sistemiche e rischi legati alla piattaforma.
Cyberattacchi e manipolazione elettorale
Secondo il Servizio di Intelligence Rumeno (SRI), il sistema elettorale è stato preso di mira da oltre 85.000 cyberattacchi, compresi tentativi di compromissione dei server dell’Autorità Permanente Elettorale. Questi attacchi, attribuiti a un presunto attore statale, avevano come obiettivo il furto di credenziali e la manipolazione dei dati elettorali.
Un altro elemento chiave è stato l’uso di TikTok per influenzare gli elettori. Una rete di 25.000 account falsi ha promosso il candidato pro-Mosca, Călin Georgescu, attraverso video virali e strategie coordinate di disinformazione. Sebbene non vi siano prove che il candidato fosse direttamente coinvolto, la Corte Costituzionale ha sottolineato che l’intero processo elettorale è stato compromesso, richiedendo la ripetizione del primo turno.
Le manipolazioni non si sono limitate alla disinformazione. Credenziali rubate sono state trovate in forum russi, alimentando preoccupazioni sulla sicurezza dei dati e sull’integrità del voto. La decisione della Corte di annullare le elezioni è stata definita dal Primo Ministro Marcel Ciolacu come “l’unica soluzione possibile per preservare la democrazia”.
Intervento della Commissione Europea
In seguito agli eventi, la Commissione Europea ha emesso un ordine di conservazione dei dati per TikTok, obbligando la piattaforma a conservare documenti relativi ai rischi sistemici che potrebbero minacciare i processi elettorali. Questo include informazioni sui sistemi di raccomandazione e sull’uso di account falsi per manipolare l’opinione pubblica.
TikTok è stata anche invitata a fornire dettagli sul modo in cui affronta i rischi derivanti dall’uso non autentico del servizio, come bot e campagne coordinate. La piattaforma ha dichiarato di aver rimosso alcune reti di account, ma la portata delle manipolazioni rimane oggetto di indagini approfondite.
La Commissione Europea, in base al Digital Services Act, mira a garantire che TikTok rispetti gli obblighi di trasparenza e sicurezza, evitando interferenze in ulteriori elezioni all’interno dell’Unione Europea.
Cosa non torna dal rapporto dell’intelligence sulle elezioni in Romania?
Mancanza di prove convincenti
I documenti di intelligence non forniscono prove concrete di interferenze straniere o manipolazioni. Al contrario, si basano su parallelismi circostanziali con presunti metodi russi utilizzati in altri contesti (ad esempio in Ucraina e Moldavia). Pur documentando una campagna su TikTok a favore di Călin Georgescu, con 25.000 account coordinati tramite Telegram, mancano evidenze definitive di:
- Amplificazione artificiale (ad esempio, bot o account falsi).
- Finanziamenti esteri o coinvolgimento diretto di attori statali.
- Un chiaro nesso causale tra la campagna e i cambiamenti nel comportamento degli elettori.
L’esistenza di campagne coordinate sui social media non è di per sé né sospetta né insolita, ma rappresenta una pratica standard nella politica moderna a livello globale.
Errata interpretazione dell’attività nella Campagna Elettorale
Le attività descritte—canali Telegram coordinati, pagamenti a influencer, messaggi specifici—sono in linea con le normali strategie di marketing digitale. Le tariffe riportate per gli influencer (400 lei per 20.000 follower o 1.000 euro per video promozionale) rientrano nei parametri di mercato. Questo solleva dubbi sul fatto che la campagna sia stata ingiustamente etichettata come dannosa solo per la sua efficacia o sofisticazione.
Parallelismi circostanziali vs prove concrete
L’affidamento dei documenti a paralleli con operazioni russe è problematico. Comportamenti come l’attivazione di account dormienti durante le elezioni sono comuni quando cresce l’interesse politico e non solo in Romania. Insinuare manipolazioni senza prove tecniche di amplificazione o account falsificati confonde la linea tra campagne strategiche e interferenze malevole.
Influenza sugli Elettori e efficacia non dimostrata
Sebbene la campagna possa aver aumentato la visibilità di Georgescu, i documenti non forniscono metriche di coinvolgimento complete, come:
- La reale portata e impatto dei contenuti oltre il numero di visualizzazioni.
- Quanti elettori hanno effettivamente cambiato preferenza.
- Se questa campagna sia stata determinante rispetto a fattori tradizionali come politiche, copertura mediatica o insoddisfazione generale per gli altri candidati.
Precedente più ampio
Annullare un’elezione basandosi sull’esistenza di una campagna social coordinata è senza precedenti. Stabilendo questo standard, la corte rumena rischia di:
- Minare i processi democratici invalidando le elezioni basandosi su sospetti piuttosto che su prove.
- Creare un precedente che potrebbe essere usato per contestare risultati scomodi sotto la giustificazione di combattere interferenze.
- Scoraggiare campagne politiche legittime per il timore di accuse simili.
Danneggiare la Democrazia per proteggerla: analisi dell’autore
Quanto accaduto in Romania rappresenta il primo caso di elezioni annullate a causa dell’influenza della rete. Non è chiaro, vista l’assenza di prove inconfutabili, se la causa principale sia stata la presenza di un candidato contrario alle posizioni di Bruxelles o un’ingerenza russa. Tuttavia, è evidente che i servizi di intelligence rumeni, strettamente collegati agli Stati Uniti, abbiano un ruolo importante, considerando anche il forte interesse della NATO in Romania, con la costruzione di diverse basi militari installate per far fronte all’invasione militare del Cremlino: soggetto accusato di sponsorizzare il candidato vincente.
D’altra parte, è altrettanto rilevante la presenza di una componente russa che, attraverso strumenti democratici, potrebbe aver influenzato i cittadini rumeni, configurando una sorta di “conquista pacifica” a botte di post sui social network. Questo porta a una riflessione cruciale: indipendentemente dall’eventuale ingerenza verificatasi sul social network cinese, la situazione suggerisce un interrogativo più ampio.
L’Europa, che si proclama baluardo dei principi democratici, è davvero disposta ad applicare tali principi in ogni circostanza?
Le elezioni continuano ad avere un ruolo determinante, o sono percepite come una minaccia per l’establishment?
Per la Romania, le elezioni rappresentano un pericolo per il potere costituito ma, al contempo, restano un patrimonio da tutelare come dovrebbe essere in ogni democrazia.
Un parallelismo può essere tracciato con le ultime elezioni statunitensi, dove il social network di Elon Musk ha avuto un ruolo rilevante per Donald Trump. Nonostante le accuse di favoritismi da parte di Musk, che avrebbe amplificato le visualizzazioni di Trump e del Partito Democratico, emerge un tema chiave:
perché l’Unione Europea non interviene costantemente contro le grandi piattaforme che, attraverso forme di censura, sostengono in modo evidente le narrazioni europeiste?
Il rischio è che, indipendentemente dal volere popolare, prevalga una narrazione costruita nel medio-lungo periodo, orientata a eliminare voci contrarie all’interno dell’arena democratica. Questo potrebbe portare a un punto di rottura: se il processo fosse davvero così, l’Occidente perderebbe il ruolo di modello democratico globale, e la sua democrazia non potrebbe più essere considerata un faro per il resto del mondo.
Proprio per questo motivo, ironia della sorte, la decisione di annullare l’elezione potrebbe fare più danni alla democrazia di qualsiasi presunta manipolazione. Intervenendo sulle scelte degli elettori basandosi su accuse non provate, le autorità rischiano di erodere la fiducia pubblica nei processi elettorali. Questo approccio potrebbe incoraggiare altri governi a usare accuse simili per reprimere il dissenso o annullare risultati non graditi ed il caso Georgia rappresenta il caso da scongiurare dove i democratici europeisti imbracciano la protesta violenta per sovvertire l’esito elettorale.
La decisione della Corte Costituzionale rumena sottolinea l’importanza di prove chiare e trasparenza nelle decisioni che riguardano i processi democratici. Sebbene sia fondamentale proteggere le elezioni da interferenze, azioni intraprese senza prove concrete rischiano di delegittimare le istituzioni stesse. Questo caso dovrebbe servire da monito sul delicato equilibrio tra sicurezza nazionale e integrità democratica.
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