Editoriali
Cloud Nazionale, specchio dell’agenda di Draghi: italiani “servi” di francesi e americani
L’Italia ha manifestato la volontà di assegnare il Cloud Nazionale a Tim, Cassa Depositi e Prestiti, Sogei, Leonardo ed è scoppiata la bufera. L’opinione pubblica della nazione si ribella a quel consorzio di imprese, pubbliche e private, che dovrà gestire la nuvola di dati altamente sensibili e militari dei cittadini del Bel Paese.
Ad occhio e croce, leggendo i nomi delle imprese, si pensa ad una vittoria del Made in Italy, ma non è così per due motivi. Il primo, di cui tutti parlano, è che Tim ha ricevuto un finanziamento da Google appena un anno fa quando è stato raggiunto l’accordo tra la società di Mountain View e la compagnia di bandiera italiana, presentato in pompa magna sul sito della stessa Tim come una “partnership che conta sullo sviluppo delle reti in fibra più avanzate e sul 5G, sui servizi cloud e di edge computing che sono alla base dello sviluppo e della ripresa economica. TIM e Google Cloud mettono a disposizione delle aziende i migliori servizi di ultima generazione e tutta la capacità computazionale necessaria a digitalizzare e a far evolvere le soluzioni scelte dai clienti, avvalendosi delle competenze specializzate di Noovle per le soluzioni Cloud e di edge computing, Olivetti per l’Internet of Things, Telsy per la Cybersecurity. La partnership di TIM e Google Cloud coinvolge l’intero ecosistema delle aziende, dei distretti industriali, delle pubbliche amministrazioni e delle istituzioni locali. A questi si aggiungono anche i servizi internazionali offerti da Sparkle per connettere le sedi delle aziende, i partner e i clienti all’estero. La collaborazione tra TIM e Google Cloud rappresenta un’opportunità di sviluppo dei sistemi IT e delle applicazioni, e soprattutto contribuisce alla trasformazione digitale della società e del paese.”
Google è una multinazionale americana, privata, ma che risponde al Governo per via della sua strategicità ed oltre ad essere una best excellence nel campo informatico, lo è anche in campo economico visto che risulta essere il prodotto di punta di mezzo mondo nel campo della navigazione web, oltrechè per altri servizi che partono dalla email ed arrivano alla gestione della formazione negli istituti scolastici italiani. Google ha una policy corrispondente a leggi americane che vanno in contrasto con la privacy europea ed oggi non è possibile fare un ricorso in Italia senza incorrere in troppi cavilli burocratici che richiedono quasi sempre una rogatoria internazionale puntualmente cestinata.
Servi dell’Europa o della Nato?
Questo vuol dire che, secondo molti, il rischio più pericoloso da questo accordo è certamente quello di non avere certezza che i dati italiani siano gestiti in server presenti sul territorio ed inaccessibili ad una forza straniera. A peggiorare le cose dal punto di vista della politica, c’è anche l’obbedienza del Premier Draghi e del suo staff agli americani, precisamente al Patto Atlantico che sovrasta da sempre i rapporti dell’Italia con gli paesi esteri, compresi quelli europei. In questa gestione, non ancora approvata per via di una verifica ulteriore prevista dal regolamento di assegnazione, Leonardo sarebbe il soggetto garante dei segreti italiani, Tim (e Google) delle infrastrutture e Sogei dei dati dei cittadini che in questi anni sono cresciuti nei database della PA grazie alla forte digitalizzazione sia in campo anagrafico sia in campo fiscale che in quello sanitario.
Il rischio di avere i server spiati dalla National Security Agency è grande, ma bisogna precisare che in Italia già esistono basi Nato logistiche e basi militari statunitensi che addirittura custodiscono alcune delle 7000 testate nucleari prodotte dagli USA in questi anni, nonostante il Bel Paese ne abbia nessuna. Il rapporto tra America e Italia non nasce quindi oggi, ma è atavico ed è per questo che bisogna capire l’indirizzo che si vuole dare alla nazione.
Il fattore C
Durante il Governo Conte, fu dato un incarico a Vittorio Colao, attuale ministro alla trasformazione Digitale, di stilare un programma considerato positivo sul processo di trasformazione digitale del paese. Dopo alcuni mesi, l’ex AD di Vodafone dovette rimettere il suo mandato per le forti pressioni ricevute in ambito politico. Nello stesso periodo, l’Italia dei 5 Stelle subì il fascino della Cina che inaugurò in pompa magna delle basi operative delle sue società di punta in campo tecnologico e precisamente Huawei e ZTE. Cinesi scomparsi dopo che si è insediato Draghi al Governo, che ha applicato il principio dapprima espresso da Trump e ribadito da Biden sull’individuazione della Cina come nemico commerciale ed ha nominato il “trombato” Colao rimarcando la posizione italiana sul digitale, consolidato da altre nomine atlantiche nello staff del Presidente del Consiglio.
Il Conflitto di interessi di cui nessuno parla
C’è un dettaglio che sfugge a molti analisti e questo dovrebbe far comprendere se la polemica sollevata in questi giorni sul cloud nazionale sia motivata o strumentale, oppure tutte e due le cose. Qualche mese fa, Colao e Draghi hanno buttato una bomba sulla borsa italiana con la cessione di Tim agli americani. Anche in quel caso mille polemiche sollevate, però, dai francesi di Vivendì, che detiene insieme a Cassa Depositi e Prestiti le quote più rappresentative della società italiana. Nel caso venga buttato fuori Google, il cloud italiano resterebbe sempre ai francesi che, insieme ai paesi dell’est Europa, è attore principale del progetto di Cloud Europe Gaia X. Inoltre, è giusto precisare che la stessa nazione di Macron, sia l’unica a portare timidamente una guerra commerciale contro le big tech americane mentre l’Europa stessa subisce una influenza particolare da Google a cui riserva trattamenti di favore sia normativi sia fiscali.
Un Cloud Franco-Italo-Americano
Il Cloud italiano diviso tra Usa e Francia sarebbe la sintesi perfetta della gestione di Draghi, l’atlantico, che è stato assoggettato pubblicamente agli accordi francesi con più di una pacca sulla spalla dinanzi ai giornalisti di mezzo mondo che ne hanno raccontato il successo commerciale. Pochi giorni dopo, la Francia ha chiuso un accordo di vendita inerenti veivoli militari agli arabi, togliendo di fatto un potenziale business alla Leonardo, che ha annunciato invece la cassa integrazione di 1600 dipendenti, comprese le loro famiglie, nelle sedi del Sud Italia. Ancora più indicativo il fatto storico che descrive l’Italia in una doppia dimensione Europeista-Atlantista, che sarebbe effettivamente sintetizzata con la divisione dell’infrastruttura digitale tra le potenze dei due mondi.
Il patto reggerà?
Alla luce della riuscita di questo accordo, si capirà se la lettura data in questa analisi sia congrua oppure se gli italiani si disferanno dei francesi dando la quota di Vivendi al fondo statunitense chiudendo definitivamente il cerchio. Viene da sollevare anche un altro sospetto e precisamente quello che l’offerta posta nei mesi precedenti dagli americani sia stata un avvertimento ai francesi di non ostacolare l’assegnazione del Cloud a Tim, con Google dentro ai giochi.
Anche il fatto di aver ceduto il campo all’industria aeronautica francese può essere stato fatto per compensare o una ipotetica uscita da Tim o l’ingresso di un soggetto terzo negli affari di stato. In una ottica di rilancio del Paese nello scacchiere mondiale, questo triangolo rappresenta la possibilità dell’Italia di svendere qualcosa di suo per ottenere maggiore prestigio e considerazione internazionale ed è questa la tattica riconosciuta a Draghi dagli analisti di mezzo mondo per essere
Forti in Europa, forti in Occidente.
L’unica cosa certa è che l’Italia è un paese morto da tempo, che non sa esprimere una sua economia e non sa statalizzare quanto di più prezioso c’è nella società moderna: i dati dei propri cittadini.
Editoriali
Bando ai bloccanti della pubertà in UK: l’Avvenire mente
Il quotidiano Avvenire dà una notizia sul bando del governo inglese ai bloccanti della pubertà, affermando che questo sia diventato definitivo. Dinanzi a una discussione, che potrebbe includere anche una componente ideologica, la notizia è stata accolta con grande entusiasmo. In particolare, da parte di chi ritiene che questa non sia la cura o il metodo necessario per affrontare la disforia di genere. Allo stesso tempo, però, sorprende che l’Inghilterra, uno dei paesi precursori su questo tema, faccia un passo indietro così significativo.
Dal punto di vista giornalistico, però, emerge la necessità di verificare la fonte istituzionale, che Avvenire non cita: il governo britannico. Consultando questa fonte, si scopre che il governo descrive non un provvedimento definitivo, ma una proposta di cambiamento sulla disponibilità dei farmaci bloccanti della pubertà. Questo aspetto evidenzia una scelta editoriale da parte di Avvenire, che privilegia una narrazione più conveniente rispetto alla reale situazione. Analizzando i due articoli, emerge chiaramente questa distinzione.
Cosa non torna nella narrazione dell’Avvenire?
L’apparente contraddizione tra l’articolo di Avvenire e la fonte ufficiale del governo britannico può essere risolta analizzando attentamente il contenuto di entrambe le fonti.
Avvenire
L’articolo di Avvenire afferma che il governo britannico ha reso definitivo il divieto dei bloccanti della pubertà per i minori, salvo per casi clinici sperimentali. Indica che questa decisione è stata ufficializzata dal Ministro della Sanità e si basa su raccomandazioni della Cass Review e su analisi successive, citando come punto di riferimento una revisione prevista nel 2027.
GOV.UK
La pagina ufficiale del governo britannico, tuttavia, chiarisce che:
- È in corso una consultazione pubblica per stabilire un divieto permanente.
- La legislazione attualmente in vigore è un ordine di emergenza temporaneo (iniziato a giugno 2024 e rinnovabile) che limita l’uso dei bloccanti della pubertà per i minori fuori da contesti clinici regolati.
- Il divieto definitivo è una proposta che sarà valutata dopo il periodo di consultazione (6 settimane di durata).
Analisi
- Stato attuale:
- Attualmente, non esiste ancora un divieto permanente per i bloccanti della pubertà, ma solo una legislazione temporanea attiva dal 3 giugno 2024.
- La proposta per rendere permanente questa restrizione è ancora in fase di consultazione e non è stata formalmente approvata.
- “Errore” di Avvenire:
- L’articolo di Avvenire sembra anticipare una decisione che il governo britannico non ha ancora preso. La consultazione non implica che il divieto permanente sia stato già deciso, ma piuttosto che si sta valutando questa possibilità.
- La fonte GOV.UK è più precisa. Il piano non è ancora definitivo, bensì in esame.
- Avvenire ha interpretato la situazione come se il divieto fosse già stato approvato in via permanente, ma ciò non corrisponde ai fatti.
E’ stato approvato o no?
Non è stato approvato un piano definitivo per il divieto dei bloccanti della pubertà. Attualmente, esiste una restrizione temporanea, e la decisione finale dipenderà dagli esiti della consultazione pubblica in corso e la notizia dell’Avvenire non solo non è firmato da un giornalista, ma dalla Redazione “è Vita” che dimostra già l’orientamento politico di chi scrive: peccato, però, che si tratta di una notizia e non di un editoriale.
Editoriali
Cybersicurezza: perchè c’è clamore sulle parole di Gratteri?
Tempo di lettura: 2 minuti. Nicola Gratteri critica il sistema IT italiano, paragonandolo agli acquedotti con il 45% di dati persi e denuncia uno scenario già noto sulla cybersicurezza
Nicola Gratteri, procuratore di Napoli, è intervenuto durante la trasmissione 8 e Mezzo, sollevando importanti riflessioni sullo stato della cybersicurezza italiana. Le sue parole hanno acceso un dibattito cruciale che, però, non dovrebbe essere una novità, considerando che il contesto della cybersecurity e dell’information technology presenta da tempo problematiche ben note.
Gratteri ha evidenziato alcune dinamiche fondamentali: la scarsità di reti di difesa da parte delle pubbliche amministrazioni, inclusa quella della Giustizia; l’inefficacia dell’ACN su determinate linee di attuazione che dovrebbero essere recepite; e, infine, la questione legata all’hardware utilizzato dal governo italiano.
Le criticità dell’hardware e della sicurezza
Secondo Gratteri, gli hardware attualmente acquistati non sono qualitativamente adeguati alle esigenze operative, evidenziando la necessità di rivedere le procedure di acquisizione, anche attraverso un’uscita dal sistema Consip. Gratteri sottolinea che il problema non riguarda solo l’Italia, ma ha una portata mondiale, con falle strutturali nei sistemi hardware che vanno oltre i computer, interessando anche i sistemi di controllo industriale, fondamentali per settori sensibili come l’aeronautica, il militare e il nucleare.
Il rischio maggiore, secondo Gratteri, si concretizza nella possibilità che hardware e software di ultima generazione utilizzati in ambiti governativi, come le auto di Stato assegnate a politici e alte cariche, possano rappresentare un veicolo per la sottrazione di dati sensibili e il trasferimento di informazioni ad apparati di intelligence straniera.
La fibra ottica e le occasioni perse
Gratteri ha anche affrontato la questione della fibra ottica, citando il caso dell’azienda di Benevento che forniva fibra ad altri Paesi, come l’Australia, ma che è stata costretta a chiudere. Questo episodio mette in evidenza la difficoltà dell’Italia nel preservare aziende tecnologiche di valore internazionale, preferendo concentrarsi su altri settori, come il lusso e le materie prime.
L’Italia ha perso importanti opportunità per affermarsi come produttore tecnologico di livello globale, un problema già emerso con la vicenda Olivetti, che continua a rappresentare un caso emblematico della mancanza di visione a lungo termine nel campo della tecnologia.
Una riflessione necessaria
Le parole di Gratteri sulla cybersicurezza portano a riflettere sul fatto che l’Italia dovrebbe valorizzare le sue eccellenze tecnologiche, non solo per esportarle, ma per utilizzarle internamente a beneficio del sistema paese. Preservare il know-how tecnologico e garantire la sicurezza dei dati e delle infrastrutture strategiche dovrebbe essere una priorità nazionale, soprattutto in un momento storico in cui le sfide legate alla cyber sicurezza si fanno sempre più pressanti.
Quello che sorprende però, è il clamore che nasce dalle parole di Gratteri nel settore IT dove esperti e professionisti che da anni lavorano in quel mercato, si sono mostrati sorpresi e preoccupati. Un aspetto grottesco se pensiamo che molti di loro lavorino grazie a Consip, offrendo i servizi della qualità criticata da Gratteri e dovrebbero essere a conoscenza dello stato attuale delle cose.
I rischi paventati dal Magistrato sono noti da tempo, ma perché emergono ora in pompa magna?
Che Gratteri si stia candidando alla guida dell’ACN nel post-Frattasi?
Editoriali
Emilia-Romagna e Umbria: Matrice Digitale aveva “sentito” il calo della destra
Tempo di lettura: 2 minuti. Elezioni regionali 2024 in Emilia-Romagna e Umbria: successo del centrosinistra e confronto con l’analisi social di ottobre. Risultati e tendenze politiche.
Le elezioni regionali del 17 e 18 novembre 2024 in Emilia-Romagna e Umbria hanno sancito una netta vittoria del centrosinistra. Il trionfo elettorale si intreccia con le dinamiche del dibattito social analizzate nel mese di ottobre, offrendo uno spaccato interessante sulle capacità di mobilitazione e consenso delle forze politiche.
Risultati elettorali: Emilia-Romagna e Umbria
In Emilia-Romagna, il centrosinistra guidato da Michele de Pascale ha ottenuto una vittoria schiacciante, superando Elena Ugolini del centrodestra con il 56,77% dei voti contro il 40,07%. Questo successo conferma la centralità del Partito Democratico, che ha raccolto il 42,94% dei voti, molto più del 23,74% di Fratelli d’Italia che assorbe le quote che furono della Lega.
In Umbria, Stefania Proietti, espressione del centrosinistra, ha sconfitto la governatrice uscente Donatella Tesei con il 51,13% dei voti contro il 46,17%. Questo risultato è particolarmente significativo in una regione storicamente oscillante, indicando un recupero elettorale per il Partito Democratico rispetto alla crescente influenza del centrodestra nelle ultime tornate elettorali.
L’affluenza, però, è stata molto bassa: in Emilia-Romagna solo il 46,42% degli aventi diritto si è recato alle urne, un calo del 21% rispetto al 2019. Anche in Umbria il dato è sceso al 52,3%, rispetto al 64,69% delle precedenti elezioni regionali. Sebbene l’astensionismo sia stato alto, il successo del centro sinistra in realtà denota l’assenza di slancio della destra e la sua capacità di portare la gente al voto sia per confermare sia per mandare a casa il nemico politico.
Dati social di ottobre: il Metaverso Politico
L’analisi social di ottobre condotta da Matrice Digitale, intitolata “Meloni regge nonostante le contestazioni” mostra come il dibattito politico su X (ex Twitter) abbia anticipato alcuni trend elettorali. Giorgia Meloni ha dominato in termini di interazioni, totalizzando 341.835 like, seguita da Matteo Salvini con 162.149 e Giuseppe Conte con 65.149. Elly Schlein, pur con numeri più bassi (25.518 like), ha ottenuto un engagement di qualità, riflettendo il suo potenziale di crescita tra gli elettori giovani e progressisti.
Gli hashtag di protesta, come #MeloniBugiarda e #GovernoDellaVergogna, hanno evidenziato una crescente polarizzazione nei confronti del governo, ma senza intaccare significativamente la base di sostenitori del centrodestra. Il campo social del centrosinistra, invece, ha mostrato segnali di coesione, che si sono concretizzati nei risultati elettorali.
Confronto tra elezioni e dati social
Il successo del centrosinistra in Emilia-Romagna e Umbria riflette l’efficacia di una strategia politica in grado di unire forze diverse, come Partito Democratico, Azione e Movimento 5 Stelle, nonché la capacità di rispondere alle critiche online con una narrazione coerente. Fratelli d’Italia, pur mantenendo una posizione dominante all’interno del centrodestra, ha registrato un calo rispetto alle elezioni politiche ed europee, evidenziando difficoltà nel consolidare il consenso locale.
I dati social di ottobre avevano previsto una competizione serrata per una destra abituata a vincere, ma i risultati elettorali hanno premiato l’unità del centrosinistra, sottolineando il ruolo cruciale delle coalizioni larghe e delle campagne mirate.
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