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Editoriali

Hai voglia a mettere il rum, Kamala non è diventata babà

Tempo di lettura: 3 minuti. La sintesi delle Elezioni USA 2024 passa da un antico detto napoletano: Kamala è stata una candidata scarsa e nemmeno i complotti delle Big Tech sono stati forieri della sua vittoria.

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Donald Trump ha vinto la corsa alla presidenza degli Stati Uniti d’America, e Matrice Digitale ha dato una dimostrazione importante dell’onestà intellettuale che pretendiamo noi stessi dalle nostre linee guida. Abbiamo pubblicato una ricerca che metteva in dubbio la nostra preferenza ideologica e non abbiamo esitato nell’esporre dati non favorevoli nei confronti di Donald Trump, nonostante avessimo analizzato gli errori di valutazione che non davano la vittoria schiacciante.

Un modo che possiamo utilizzare come sintesi di quest’ultima campagna elettorale è un antico quanto meraviglioso detto napoletano che descrive appieno Kamala Harris: “hai voglia a mettere il rum, uno strunz non diventerà mai un babà”. Tradotto in sintesi vuol dire che non importa quanto supporto si possa fornire a qualcosa di insipido e sgradito, esso non si trasformerà in qualcosa di desiderabile e perfetto; il “rum” in questa metafora è stato rappresentato innanzitutto dal supporto di Barack e Michelle Obama che, nonostante il loro appoggio, non hanno ottenuto i risultati sperati per Harris che ha perso i voti di arabi e delle stesse minoranze afroamericane deluse dalle bugie elettorali sulle origini della candidata DEM.

Il Rhum è stata anche la grande stampa americana, mostratasi con una certa diffidenza verso l’uomo più odiato dai Dem e dai Repubblicani di ferro, che ha tentato di mantenere un’aura di autorità pur essendo ideologicamente schierata: compresa quella estera che ha provato nella maggior parte dei casi ad invogliare i residenti al di fuori degli Stati Uniti con narrazioni che non hanno trovato riscontri ed oggi si tramutano in accuse di presunti brogli elettorali, un tema spesso sollevato negli ultimi anni dai Trumpiani successivamente l’assalto di Capitol Hill ed oggi viene riproposto dagli stessi che li apostrofavano come “rozzi”, “complottisti” e “fascisti”.

Che la situazione fosse poco favorevole per Kamala, lo abbiamo capito dalla posizione di Jeff Bezos che ha inviato un segnale importante al nemico Musk, sceso direttamente in campo come finanziatore di Trump, scegliendo di non schierare il Washington Post come storicamente avviene in favore dei Dem, rinunciando così agli abbonamenti di 200.000 elettori indignati per non aver trovato nello storico giornale una posizione politica in linea con la loro, relegando uno dei migliori media americani ed il giornalismo in generale ad un organo di partito. La mossa è stata quella di non compromettere i contratti governativi in essere, e quelli futuri, sotto l’eventuale l’amministrazione Trump che è arrivata ed è stata quindi una scelta lungimirante.

Mark Zuckerberg non solo ha ammesso di aver censurato per conto dei Dem notizie vere come la storia del Laptop di Hunter Biden, quella degli scienziati che con il senno di poi hanno avuto ragione sul Covid e gli analisti non proprio in linea con l’atlantismo ucraino, ma ha anche evitato ingerenze sulle elezioni con attività filantropiche come quella avviata in occasione delle precedenti nelle quali si spendeva nell’insegnare agli americani come votare con diverse centinaia di milioni stanziati in favore della OnLus della moglie.

Un’altra indicazione che la situazione per i Democratici non sarebbe stata favorevole, è stato l’incessante utilizzo di Barack e Michelle Obama nel pubblicare video appelli su X fino alla chiusura dei giochi, dove hanno sostenuto apertamente la campagna elettorale di Kamala Harris. Questo potrebbe aver influenzato l’elettorato in modo negativo, facendolo desistere dal voto visto che i nostalgici di Obama oramai sono solo in Occidente.

Il riferimento al “rum su un pezzo di str*nz” simboleggia soprattutto il fallimento nel settore tecnologico surclassato da Musk che ha messo pubblicamente la faccia, mettendo al riparo da future ripicche nei contratti governativi gli impauriti Zuckerberg e Jeff Bezos. Abbiamo dimenticato quella che oramai resta la più grande e sgradevole realtà dell’ecosistema informativo in rete dominato da Google: il grande burattinaio, che ha subito una grande sconfitta nonostante ripetuti tentativi istituzionali di deindicizzare le fake news o relegare notizie vere in un oblio anticipato. Nonostante tutti questi esperimenti messi in campo, compreso quello del ricatto costante ai media che non seguono peredissequamente la linea editoriale tracciata da Big G, la situazione non ha visto miglioramenti, anzi, ha distrutto ancora una volta la fiducia degli utenti della rete nei confronti dei media, dei giornalisti e delle grandi piattaforme. Questo ha confermato che Donald Trump avrà due strade: prendere controllo del sistema oppure cambiare realmente il concetto di libertà di espressione e di stampa che tanto fa paura ai potenti. Lui e Musk compresi, sia chiaro.

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Editoriali

Piracy Shield: non siamo dalla parte dei Gatekeepers

Tempo di lettura: 3 minuti. Arrivano lettere di protesta nella redazione di Matrice Digitale sull’immobilismo circa Piracy Shield: c’è un perchè e già abbiamo fatto tanto

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Logo piracy shield
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In questi giorni viviamo nuove notizie su Piracy Shield e la posizione di Matrice Digitale appare più moderata rispetto alle consuete battaglie che la redazione conduce contro i monopoli ed i centri di potere. Quando si parla di monopolio, ci si riferisce a un’intera fetta del mercato controllata da un unico attore, o da un cartello composto da pochi soggetti, che rende inaccessibile il mercato a nuovi soggetti e impone prezzi, talvolta al limite dello strozzinaggio agli utenti. Tuttavia, il caso di Piracy Shield si distingue. Perché? Il monopolio riguarda prodotti cinematografici e calcistici, beni di cui si può fare a meno. Questo paradosso riflette un’epoca in cui il copyright e l’opera intellettuale sono al centro di un cambiamento: onorare l’arte e le opere intellettuali oppure svalutarle alla pirateria.

Piattaforme come YouTube e Spotify hanno rivoluzionato la remunerazione degli artisti, offrendo contenuti a un pubblico più ampio senza ricorrere a costi elevati, anche se i guadagni per gli artisti sono diminuiti. Analogamente, l’accesso al cinema e ai contenuti televisivi, una volta limitato, oggi passa attraverso abbonamenti che, se sommati, rappresentano una spesa significativa in un’Italia sempre più povera anche se l’offerta di contenuti corrisponde in un mese a numerose sere al cinema come a vecchi tempi.

Piracy Shield segue la logica etica del riconoscimento economico ai contenuti culturali, realizzati da persone che meritano di essere retribuite per il loro contributo artistico alla società. Tuttavia, ciò si scontra con l’accesso alla cultura, un diritto che, se fortemente monopolizzato, ha un impatto negativo sull’indice culturale della una società. La diffusione dei cosiddetti “pezzotti” dimostra come ci sia chi preferisce evitare il pagamento presso i fornitori ufficiali e questo avveniva anche quando i prezzi erano più bassi. L’alternativa ai falsi resta quella di non fruire del prodotto oppure pagarlo a caro prezzo.

Piracy Shield ha avviato procedure d’urgenza che prevedono il blocco degli indirizzi IP, colpendo anche siti legittimi. Questo ha penalizzato piattaforme che fornivano servizi informatici e siti di informazione. In Italia, un sito informativo è stato colpito, evidenziando la forza dell’interesse lobbistico di mercato sul principio di libertà di stampa ed espressione. Lo studio Previti, promotore della piattaforma, ha mobilitato interessi politici ed economici per ottenere l’approvazione parlamentare. In prima linea c’è Massimiliano Capitanio, commissario Agcom e attivista della Lega, che ha promosso sanzioni anche per gli utenti dei servizi illegali ottenendo rimodulazioni legislative in materia da parte del Governo.

La struttura di Piracy Shield, in coordinamento con la Guardia di Finanza e la Polizia Postale, ha bloccato numerosi siti e sgominato reti di fornitori del “pezzotto”, spesso associati a contenuti illeciti, inclusi abusi su minori. Questo aspetto evidenzia il rischio di una mentalità permissiva e che sfrutta la tecnologia per rinforzare il controllo, penalizzando al contempo piattaforme legittime come Cloudflare, spesso usate anche da reti illecite come argomentato più volte da Matrice Digitale.

Matrice Digitale ha scelto una posizione contro l’inasprimento delle sanzioni agli utenti senza abbassare i prezzi degli abbonamenti, rendendo il mercato meno accessibile e senza una alternativa concreta. La redazione si oppone a ogni tipo di lobby, sia informatica che monopolistica, sforzandosi nel mantenere una posizione oggettiva e neutrale. Questo è in linea con una visione che privilegia l’accesso equo alla cultura e la critica a un sistema calcistico monopolizzato, di cui, in fondo, si può fare a meno. Schierarsi contro una piattaforma che viola il diritto d’autore può essere comprensibile se gratuita e senza interessi, discorso diverso invece quando l’alternativa sono servizi a pagamento gestiti da criminali collegati alla criminalità organizzata e senza quelle basi etiche minime che vietino traffici.

Le piattaforme di streaming hanno nulla a che vedere con l’hacktivismo o attivismo, questo dovrebbero saperlo i gatekeeper del mondo tecnologico che spacciano l’ideologia come movente di protesta, ma poi li si trova sempre nelle migliori aziende e nei migliori tavoli di concertazione di Governo a rappresentare gli interessi di quelli che criticano.

Chi critica Matrice Digitale fa bene, ne ha diritto, ma speriamo che dopo questa precisazione abbia compreso che ci siamo schierati con una proposta politica che riteniamo di buonsenso, ma non siamo lo strumento nè dell’una e nè dell’altra parte.

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Editoriali

Bando ai bloccanti della pubertà in UK: l’Avvenire mente

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Il quotidiano Avvenire dà una notizia sul bando del governo inglese ai bloccanti della pubertà, affermando che questo sia diventato definitivo. Dinanzi a una discussione, che potrebbe includere anche una componente ideologica, la notizia è stata accolta con grande entusiasmo. In particolare, da parte di chi ritiene che questa non sia la cura o il metodo necessario per affrontare la disforia di genere. Allo stesso tempo, però, sorprende che l’Inghilterra, uno dei paesi precursori su questo tema, faccia un passo indietro così significativo.

Dal punto di vista giornalistico, però, emerge la necessità di verificare la fonte istituzionale, che Avvenire non cita: il governo britannico. Consultando questa fonte, si scopre che il governo descrive non un provvedimento definitivo, ma una proposta di cambiamento sulla disponibilità dei farmaci bloccanti della pubertà. Questo aspetto evidenzia una scelta editoriale da parte di Avvenire, che privilegia una narrazione più conveniente rispetto alla reale situazione. Analizzando i due articoli, emerge chiaramente questa distinzione.

Cosa non torna nella narrazione dell’Avvenire?

L’apparente contraddizione tra l’articolo di Avvenire e la fonte ufficiale del governo britannico può essere risolta analizzando attentamente il contenuto di entrambe le fonti.

Avvenire

L’articolo di Avvenire afferma che il governo britannico ha reso definitivo il divieto dei bloccanti della pubertà per i minori, salvo per casi clinici sperimentali. Indica che questa decisione è stata ufficializzata dal Ministro della Sanità e si basa su raccomandazioni della Cass Review e su analisi successive, citando come punto di riferimento una revisione prevista nel 2027.

GOV.UK

La pagina ufficiale del governo britannico, tuttavia, chiarisce che:

  • È in corso una consultazione pubblica per stabilire un divieto permanente.
  • La legislazione attualmente in vigore è un ordine di emergenza temporaneo (iniziato a giugno 2024 e rinnovabile) che limita l’uso dei bloccanti della pubertà per i minori fuori da contesti clinici regolati.
  • Il divieto definitivo è una proposta che sarà valutata dopo il periodo di consultazione (6 settimane di durata).

Analisi

  1. Stato attuale:
    • Attualmente, non esiste ancora un divieto permanente per i bloccanti della pubertà, ma solo una legislazione temporanea attiva dal 3 giugno 2024.
    • La proposta per rendere permanente questa restrizione è ancora in fase di consultazione e non è stata formalmente approvata.
  2. Errore” di Avvenire:
    • L’articolo di Avvenire sembra anticipare una decisione che il governo britannico non ha ancora preso. La consultazione non implica che il divieto permanente sia stato già deciso, ma piuttosto che si sta valutando questa possibilità.
    • La fonte GOV.UK è più precisa. Il piano non è ancora definitivo, bensì in esame.
    • Avvenire ha interpretato la situazione come se il divieto fosse già stato approvato in via permanente, ma ciò non corrisponde ai fatti.

E’ stato approvato o no?

Non è stato approvato un piano definitivo per il divieto dei bloccanti della pubertà. Attualmente, esiste una restrizione temporanea, e la decisione finale dipenderà dagli esiti della consultazione pubblica in corso e la notizia dell’Avvenire non solo non è firmato da un giornalista, ma dalla Redazione “è Vita” che dimostra già l’orientamento politico di chi scrive: peccato, però, che si tratta di una notizia e non di un editoriale.

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Editoriali

Cybersicurezza: perchè c’è clamore sulle parole di Gratteri?

Tempo di lettura: 2 minuti. Nicola Gratteri critica il sistema IT italiano, paragonandolo agli acquedotti con il 45% di dati persi e denuncia uno scenario già noto sulla cybersicurezza

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Nicola Gratteri, procuratore di Napoli, è intervenuto durante la trasmissione 8 e Mezzo, sollevando importanti riflessioni sullo stato della cybersicurezza italiana. Le sue parole hanno acceso un dibattito cruciale che, però, non dovrebbe essere una novità, considerando che il contesto della cybersecurity e dell’information technology presenta da tempo problematiche ben note.

Gratteri ha evidenziato alcune dinamiche fondamentali: la scarsità di reti di difesa da parte delle pubbliche amministrazioni, inclusa quella della Giustizia; l’inefficacia dell’ACN su determinate linee di attuazione che dovrebbero essere recepite; e, infine, la questione legata all’hardware utilizzato dal governo italiano.

Le criticità dell’hardware e della sicurezza

Secondo Gratteri, gli hardware attualmente acquistati non sono qualitativamente adeguati alle esigenze operative, evidenziando la necessità di rivedere le procedure di acquisizione, anche attraverso un’uscita dal sistema Consip. Gratteri sottolinea che il problema non riguarda solo l’Italia, ma ha una portata mondiale, con falle strutturali nei sistemi hardware che vanno oltre i computer, interessando anche i sistemi di controllo industriale, fondamentali per settori sensibili come l’aeronautica, il militare e il nucleare.

Il rischio maggiore, secondo Gratteri, si concretizza nella possibilità che hardware e software di ultima generazione utilizzati in ambiti governativi, come le auto di Stato assegnate a politici e alte cariche, possano rappresentare un veicolo per la sottrazione di dati sensibili e il trasferimento di informazioni ad apparati di intelligence straniera.

La fibra ottica e le occasioni perse

Gratteri ha anche affrontato la questione della fibra ottica, citando il caso dell’azienda di Benevento che forniva fibra ad altri Paesi, come l’Australia, ma che è stata costretta a chiudere. Questo episodio mette in evidenza la difficoltà dell’Italia nel preservare aziende tecnologiche di valore internazionale, preferendo concentrarsi su altri settori, come il lusso e le materie prime.

L’Italia ha perso importanti opportunità per affermarsi come produttore tecnologico di livello globale, un problema già emerso con la vicenda Olivetti, che continua a rappresentare un caso emblematico della mancanza di visione a lungo termine nel campo della tecnologia.

Una riflessione necessaria

Le parole di Gratteri sulla cybersicurezza portano a riflettere sul fatto che l’Italia dovrebbe valorizzare le sue eccellenze tecnologiche, non solo per esportarle, ma per utilizzarle internamente a beneficio del sistema paese. Preservare il know-how tecnologico e garantire la sicurezza dei dati e delle infrastrutture strategiche dovrebbe essere una priorità nazionale, soprattutto in un momento storico in cui le sfide legate alla cyber sicurezza si fanno sempre più pressanti.

Quello che sorprende però, è il clamore che nasce dalle parole di Gratteri nel settore IT dove esperti e professionisti che da anni lavorano in quel mercato, si sono mostrati sorpresi e preoccupati. Un aspetto grottesco se pensiamo che molti di loro lavorino grazie a Consip, offrendo i servizi della qualità criticata da Gratteri e dovrebbero essere a conoscenza dello stato attuale delle cose.

I rischi paventati dal Magistrato sono noti da tempo, ma perché emergono ora in pompa magna?

Che Gratteri si stia candidando alla guida dell’ACN nel post-Frattasi?

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