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Editoriali

Il futuro di Chiara Ferragni: tra debiti, rendite e Borsa

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Chiara Ferragni cede quote della sua azienda e lo fa attraverso la Gruppo Paribas. Una notizia interessante e soprattutto positiva dal punto di vista delle entrate e del prestigio dell’influencer presentata in modo diverso da testate specializzate nel settore della moda e dell’economia.

Chiara Ferragni nell’ultimo periodo si è mostrata al pubblico come non mai, sarà la sua immagine oramai da donna adulta disinibita, sarà per il fatto che i riferimenti per molte ragazzine sono cambiati ed il suo pubblico è cresciuto. Perché il problema principale è che anche gli influencer invecchiano e questo significa sistematicamente o che ci si adatta ad un pubblico più giovane o si accompagna il pubblico di sempre verso quella che è la sua naturale trasformazione generazionale.

La strategia della Ferragni sembrerebbe non attecchire più alla sua massa che non solo ha altri influencer come paragone, ma non ha in gran parte la capacità di acquisto dei prodotti che ella stessa pubblicizza. Il fatto che ci troviamo dinanzi ad una testimonial del lusso che partecipa alle sfilate di Parigi come se fosse una star, rende il personaggio ancora più inarrivabile rispetto alla massa che lo segue. C’è ovviamente anche da settorializzare la geolocalizzazione dell’attività di Chiara Ferragni, che ha visibilità globale dove raccoglie più consensi, seppur l’Italia resti sempre il suo zoccolo duro, consentendola di essere regina. Purtroppo per noi italiani, nel resto del mondo vi sono altri numeri che fanno la differenza e premiano influencer che parlano la stessa lingua del pubblico che li segue.

Uno dei primi dettagli che ha portato alla caduta di forza dell’immagine della Ferragni è stato quello sicuramente di aprirsi una linea sua personale sulla qualunque. Dalla linea per bambino agli astucci di scuola, la Ferragni ha iniziato a disperdere il suo brand tentando appunto di racimolare rendite dalla cessione del suo marchio su prodotti di ogni genere.  Questa attività, se svolta in modo intelligente, potrebbe garantire una rendita, e le previsioni di incamerare 5 milioni di ricavi in questo anno dicono questo, ma allo stesso tempo può far perdere il valore al brand perché effettivamente ci troviamo dinanzi ad una inflazione del marchio che viene impresso su prodotti di gadget.

La scelta di massimizzare lo sfruttamento del suo marchio è sicuramente mirata ad aumentare le entrate magari sfruttando i suoi propri canali social seppur gli ultimi dati sulla considerazione mondiale che i consumatori ripongono sull’universo degli influencer è di appena il 22% della popolazione. Un altro aspetto che ha denotato la caduta di stile della Ferragni è stato certamente quello di vederla promuovere tante località turistiche particolari, così come locali esclusivi, abbinandosi a capi di moda. E’ il suo mestiere, certo, ma è anche chiaro che la diversificazione da rappresentante della moda ad ambasciatore del lusso non sempre è un qualcosa che va di pari passo, anzi, il lusso non ha bisogno di televendite ed è questo molto probabilmente un altro motivo per il quale registriamo un potenziale declino della Ferragni.

Un’altra lettura che viene data alla volontà della Ferragni di cedere le sue quote può non essere un colpo di coda, bensì una capitalizzazione su un prodotto la cui funzione non è più quella di generare semplici entrate, bensì rendite, e non più sul brand affisso prodotti, ma sullo stesso proprietario.

Quindi Chiara Ferragni cosa farà? Sarà la dipendente di un gruppo di investimento?

Non è chiaro per il momento quello che comporterà un eventuale cessione, ma è certo che la necessità di vendere per trovare nuovi investitori è sicuramente una strategia per trovare maggiore liquidità, che potrebbe essere sicuramente reinvestita, ma che a quanto si legge serve anche a ripianare una situazione debitoria non eccessiva.

No, state tranquilli, Chiara Ferragni non la vedremo certamente sotto i ponti, ma è chiaro che il suo potere sembrerebbe essere in declino alla luce anche degli attacchi gratuiti che le vengono mosse puntualmente quando prova a cambiare placement come nel caso della sua provocatoria apparizione alle sfilate di Parigi con le calze a rete e un cappotto che aveva anche il compito di fungere da reggiseno.

Effettivamente, la svolta sexy della Ferragni non sembrerebbe essere riuscita, ma questa volta è palese notare come i media che hanno per molto incensato e difeso perché ne sfruttano i clic, quindi gli introiti pubblicitari sulle notizie della più grande influencer italiana, non hanno mostrato tutti la stessa e solita omogeneità di acclamazione. Se il do ut des, tra notizia data in cambio di pubblicità indiretta e forse anche diretta tramite l’agenzia di comunicazione che segue la Ferragni, non ha portato i suoi frutti, anzi, a dire il vero ha fatto scatenare delle critiche al limite del body shaming significa che c’è qualcosa che è cambiato tra la Ferragni e la stampa.

Quale sarà il futuro della Ferragni?

Dai sospetti delle sue grandi partecipazione all’interno dei marchi quotati in borsa, che hanno guadagnato diversi punti di crescita nel corso dei primi giorni decorsi dall’annuncio della notizia, che hanno fatto maturare dei forti sospetti di aggiotaggio bancario dove secondo l’Espresso gli investitori, sapendo che il titolo sarebbe cresciuto in borsa e avrebbe garantito nel breve periodo una percentuale di guadagno tra il 3 e il 5%, l’hanno utilizzata come leva per avere delle rendite veloci ed indolori.

Questo aspetto ci fa comprendere che l’imprenditrice digitale sarà sicuramente impegnata nei prossimi anni a rifondare la sua attività e non possiamo escludere che avrà certamente le capacità di innovarsi e riuscire ad affrontare il cambio generazionale aziendale superando quella soglia temporale che vede gli influecer essere dimenticati all’improvviso perché l’attenzione su di loro cala.

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Editoriali

Bando ai bloccanti della pubertà in UK: l’Avvenire mente

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Il quotidiano Avvenire dà una notizia sul bando del governo inglese ai bloccanti della pubertà, affermando che questo sia diventato definitivo. Dinanzi a una discussione, che potrebbe includere anche una componente ideologica, la notizia è stata accolta con grande entusiasmo. In particolare, da parte di chi ritiene che questa non sia la cura o il metodo necessario per affrontare la disforia di genere. Allo stesso tempo, però, sorprende che l’Inghilterra, uno dei paesi precursori su questo tema, faccia un passo indietro così significativo.

Dal punto di vista giornalistico, però, emerge la necessità di verificare la fonte istituzionale, che Avvenire non cita: il governo britannico. Consultando questa fonte, si scopre che il governo descrive non un provvedimento definitivo, ma una proposta di cambiamento sulla disponibilità dei farmaci bloccanti della pubertà. Questo aspetto evidenzia una scelta editoriale da parte di Avvenire, che privilegia una narrazione più conveniente rispetto alla reale situazione. Analizzando i due articoli, emerge chiaramente questa distinzione.

Cosa non torna nella narrazione dell’Avvenire?

L’apparente contraddizione tra l’articolo di Avvenire e la fonte ufficiale del governo britannico può essere risolta analizzando attentamente il contenuto di entrambe le fonti.

Avvenire

L’articolo di Avvenire afferma che il governo britannico ha reso definitivo il divieto dei bloccanti della pubertà per i minori, salvo per casi clinici sperimentali. Indica che questa decisione è stata ufficializzata dal Ministro della Sanità e si basa su raccomandazioni della Cass Review e su analisi successive, citando come punto di riferimento una revisione prevista nel 2027.

GOV.UK

La pagina ufficiale del governo britannico, tuttavia, chiarisce che:

  • È in corso una consultazione pubblica per stabilire un divieto permanente.
  • La legislazione attualmente in vigore è un ordine di emergenza temporaneo (iniziato a giugno 2024 e rinnovabile) che limita l’uso dei bloccanti della pubertà per i minori fuori da contesti clinici regolati.
  • Il divieto definitivo è una proposta che sarà valutata dopo il periodo di consultazione (6 settimane di durata).

Analisi

  1. Stato attuale:
    • Attualmente, non esiste ancora un divieto permanente per i bloccanti della pubertà, ma solo una legislazione temporanea attiva dal 3 giugno 2024.
    • La proposta per rendere permanente questa restrizione è ancora in fase di consultazione e non è stata formalmente approvata.
  2. Errore” di Avvenire:
    • L’articolo di Avvenire sembra anticipare una decisione che il governo britannico non ha ancora preso. La consultazione non implica che il divieto permanente sia stato già deciso, ma piuttosto che si sta valutando questa possibilità.
    • La fonte GOV.UK è più precisa. Il piano non è ancora definitivo, bensì in esame.
    • Avvenire ha interpretato la situazione come se il divieto fosse già stato approvato in via permanente, ma ciò non corrisponde ai fatti.

E’ stato approvato o no?

Non è stato approvato un piano definitivo per il divieto dei bloccanti della pubertà. Attualmente, esiste una restrizione temporanea, e la decisione finale dipenderà dagli esiti della consultazione pubblica in corso e la notizia dell’Avvenire non solo non è firmato da un giornalista, ma dalla Redazione “è Vita” che dimostra già l’orientamento politico di chi scrive: peccato, però, che si tratta di una notizia e non di un editoriale.

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Editoriali

Cybersicurezza: perchè c’è clamore sulle parole di Gratteri?

Tempo di lettura: 2 minuti. Nicola Gratteri critica il sistema IT italiano, paragonandolo agli acquedotti con il 45% di dati persi e denuncia uno scenario già noto sulla cybersicurezza

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Nicola Gratteri, procuratore di Napoli, è intervenuto durante la trasmissione 8 e Mezzo, sollevando importanti riflessioni sullo stato della cybersicurezza italiana. Le sue parole hanno acceso un dibattito cruciale che, però, non dovrebbe essere una novità, considerando che il contesto della cybersecurity e dell’information technology presenta da tempo problematiche ben note.

Gratteri ha evidenziato alcune dinamiche fondamentali: la scarsità di reti di difesa da parte delle pubbliche amministrazioni, inclusa quella della Giustizia; l’inefficacia dell’ACN su determinate linee di attuazione che dovrebbero essere recepite; e, infine, la questione legata all’hardware utilizzato dal governo italiano.

Le criticità dell’hardware e della sicurezza

Secondo Gratteri, gli hardware attualmente acquistati non sono qualitativamente adeguati alle esigenze operative, evidenziando la necessità di rivedere le procedure di acquisizione, anche attraverso un’uscita dal sistema Consip. Gratteri sottolinea che il problema non riguarda solo l’Italia, ma ha una portata mondiale, con falle strutturali nei sistemi hardware che vanno oltre i computer, interessando anche i sistemi di controllo industriale, fondamentali per settori sensibili come l’aeronautica, il militare e il nucleare.

Il rischio maggiore, secondo Gratteri, si concretizza nella possibilità che hardware e software di ultima generazione utilizzati in ambiti governativi, come le auto di Stato assegnate a politici e alte cariche, possano rappresentare un veicolo per la sottrazione di dati sensibili e il trasferimento di informazioni ad apparati di intelligence straniera.

La fibra ottica e le occasioni perse

Gratteri ha anche affrontato la questione della fibra ottica, citando il caso dell’azienda di Benevento che forniva fibra ad altri Paesi, come l’Australia, ma che è stata costretta a chiudere. Questo episodio mette in evidenza la difficoltà dell’Italia nel preservare aziende tecnologiche di valore internazionale, preferendo concentrarsi su altri settori, come il lusso e le materie prime.

L’Italia ha perso importanti opportunità per affermarsi come produttore tecnologico di livello globale, un problema già emerso con la vicenda Olivetti, che continua a rappresentare un caso emblematico della mancanza di visione a lungo termine nel campo della tecnologia.

Una riflessione necessaria

Le parole di Gratteri sulla cybersicurezza portano a riflettere sul fatto che l’Italia dovrebbe valorizzare le sue eccellenze tecnologiche, non solo per esportarle, ma per utilizzarle internamente a beneficio del sistema paese. Preservare il know-how tecnologico e garantire la sicurezza dei dati e delle infrastrutture strategiche dovrebbe essere una priorità nazionale, soprattutto in un momento storico in cui le sfide legate alla cyber sicurezza si fanno sempre più pressanti.

Quello che sorprende però, è il clamore che nasce dalle parole di Gratteri nel settore IT dove esperti e professionisti che da anni lavorano in quel mercato, si sono mostrati sorpresi e preoccupati. Un aspetto grottesco se pensiamo che molti di loro lavorino grazie a Consip, offrendo i servizi della qualità criticata da Gratteri e dovrebbero essere a conoscenza dello stato attuale delle cose.

I rischi paventati dal Magistrato sono noti da tempo, ma perché emergono ora in pompa magna?

Che Gratteri si stia candidando alla guida dell’ACN nel post-Frattasi?

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Editoriali

Emilia-Romagna e Umbria: Matrice Digitale aveva “sentito” il calo della destra

Tempo di lettura: 2 minuti. Elezioni regionali 2024 in Emilia-Romagna e Umbria: successo del centrosinistra e confronto con l’analisi social di ottobre. Risultati e tendenze politiche.

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Le elezioni regionali del 17 e 18 novembre 2024 in Emilia-Romagna e Umbria hanno sancito una netta vittoria del centrosinistra. Il trionfo elettorale si intreccia con le dinamiche del dibattito social analizzate nel mese di ottobre, offrendo uno spaccato interessante sulle capacità di mobilitazione e consenso delle forze politiche.

Risultati elettorali: Emilia-Romagna e Umbria

In Emilia-Romagna, il centrosinistra guidato da Michele de Pascale ha ottenuto una vittoria schiacciante, superando Elena Ugolini del centrodestra con il 56,77% dei voti contro il 40,07%. Questo successo conferma la centralità del Partito Democratico, che ha raccolto il 42,94% dei voti, molto più del 23,74% di Fratelli d’Italia che assorbe le quote che furono della Lega.

In Umbria, Stefania Proietti, espressione del centrosinistra, ha sconfitto la governatrice uscente Donatella Tesei con il 51,13% dei voti contro il 46,17%. Questo risultato è particolarmente significativo in una regione storicamente oscillante, indicando un recupero elettorale per il Partito Democratico rispetto alla crescente influenza del centrodestra nelle ultime tornate elettorali.

L’affluenza, però, è stata molto bassa: in Emilia-Romagna solo il 46,42% degli aventi diritto si è recato alle urne, un calo del 21% rispetto al 2019. Anche in Umbria il dato è sceso al 52,3%, rispetto al 64,69% delle precedenti elezioni regionali. Sebbene l’astensionismo sia stato alto, il successo del centro sinistra in realtà denota l’assenza di slancio della destra e la sua capacità di portare la gente al voto sia per confermare sia per mandare a casa il nemico politico.

Dati social di ottobre: il Metaverso Politico

L’analisi social di ottobre condotta da Matrice Digitale, intitolata “Meloni regge nonostante le contestazioni” mostra come il dibattito politico su X (ex Twitter) abbia anticipato alcuni trend elettorali. Giorgia Meloni ha dominato in termini di interazioni, totalizzando 341.835 like, seguita da Matteo Salvini con 162.149 e Giuseppe Conte con 65.149. Elly Schlein, pur con numeri più bassi (25.518 like), ha ottenuto un engagement di qualità, riflettendo il suo potenziale di crescita tra gli elettori giovani e progressisti.

Gli hashtag di protesta, come #MeloniBugiarda e #GovernoDellaVergogna, hanno evidenziato una crescente polarizzazione nei confronti del governo, ma senza intaccare significativamente la base di sostenitori del centrodestra. Il campo social del centrosinistra, invece, ha mostrato segnali di coesione, che si sono concretizzati nei risultati elettorali.

Confronto tra elezioni e dati social

Il successo del centrosinistra in Emilia-Romagna e Umbria riflette l’efficacia di una strategia politica in grado di unire forze diverse, come Partito Democratico, Azione e Movimento 5 Stelle, nonché la capacità di rispondere alle critiche online con una narrazione coerente. Fratelli d’Italia, pur mantenendo una posizione dominante all’interno del centrodestra, ha registrato un calo rispetto alle elezioni politiche ed europee, evidenziando difficoltà nel consolidare il consenso locale.

I dati social di ottobre avevano previsto una competizione serrata per una destra abituata a vincere, ma i risultati elettorali hanno premiato l’unità del centrosinistra, sottolineando il ruolo cruciale delle coalizioni larghe e delle campagne mirate.

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