Editoriali
L’hacker Carmelo Miano è una risorsa del nostro Paese?
La storia dell’hacker più bravo d’Italia sta sfuggendo di mano, crea ombre su chi l’ha arrestato e su chi dovrebbe difendere il perimetro cibernetico del paese.
La storia dell’hacker Carmelo Miano fa viaggiare con la fantasia gli appassionati di hacking e storie di spionaggio informatico. Sembra la classica trama cinematografica in cui un hacker di talento compie un grosso colpo e viene poi assoldato dalle Autorità. In questo caso, la narrazione apparsa in queste ore sui media sembra voler suggerire uno sconto di pena e una condanna lieve, per poi ingaggiare il criminale nelle mani dello Stato: dalla parte “cattiva” a quella “buona”.
Stato colabrodo
Dietro questa narrazione epica sulla grande bravura di Miano, c’è una posizione importante sostenuta dalla difesa di Gioacchino Genchi, “mr. intercettazioni abusive” assolto, che dovrebbe far riflettere. I sistemi di sicurezza colpiti – tra cui il Ministero della Giustizia, la Guardia di Finanza e aziende statali come Telespazio – avevano vulnerabilità notevoli sia a livello interno che esterno tanto da far sollevare dubbi non tanto sulle capacità di Miano, quanto sull’incapacità dello Stato di creare una rete informatica a prova di hacker.
Questo aspetto non può essere sottovalutato, specialmente ora che si parla di una violazione “hacker” a servizi strategici per la sicurezza nazionale ed il caso Miano fa paura se si immagina che l’accusato potesse essere al servizio di una rete ed è lo stesso sospetto che ci fu a suo tempo per un caso quasi analogo occorso sempre a Napoli, di riflesso dalla Procura di Benevento, dove una società fornitrice di servizi spyware fu “accidentalmente” violata, facilitando l’accesso a fascicoli coperti da segreto istruttorio, sottratti in anticipo per consentire a qualcuno – ancora non identificato pubblicamente – di muoversi in modo strategico all’interno dei processi.
Nonostante non sia stata trovata alcuna connessione tra criminalità organizzata e Miano, una conversazione con un noto avvocato torinese avuta a suo tempo da chi vi scrive, solleva il sospetto sul fatto che proprio la criminalità organizzata abbia bisogno di figure come l’hacker siciliano di stanza alla Garbatella per sviluppare reti anonime e criptate per comunicazioni sicure e per ottenere dati sensibili così come sospettò l’avvocato sul caso di Benevento dove disse testualmente “sono stesso i camorristi a voler bucare i sistemi informatici“.
Un altro elemento interessante riguarda la presenza di Miano nei forum del dark web. Raccoglieva dati e li metteva in vendita su una piattaforma nota, sia nel dark web che nel clear web. Alcuni sospettano che fosse coinvolto nel Berlusconi Market, oggetto di una inchiesta condotta dal sottoscritto in autonomia nel mentre le indagini erano in corso e che hanno portato ad arresti e sequestri eccellenti, come dimostrato nell’inchiesta ospitata coraggiosamente da Key4Biz.
L’ACN spende soldi pubblici, ma non è efficace
Quanto alle responsabilità, l’Agenzia Nazionale per la Cybersicurezza ha lavorato negli anni per proteggere il perimetro cibernetico nazionale, ma qualcosa è evidentemente andato storto. Lo dimostrano episodi come lo scandalo Striano e la stessa Antimafia che è stata hackerata.
La provocazione nella provocazione
Che Carmelo Miano possa essere ora considerato una risorsa per il Paese, a patto che decida di cambiare mentalità, potrebbe essere una soluzione, ma resta una domanda: può un hacker della sua statura, che ha accumulato milioni, diventare dipendente di un’Agenzia per la Cybersicurezza, dove si guadagna dieci e più volte meno?
Questo apre un dibattito sulle opportunità che l’Italia può offrire nel campo della cybersicurezza a persone come Miano già affrontate da Matrice Digitale in passato.
Le risorse che abbiamo
Nelle narrazioni roboanti su Miano veicolate da Giocchino Genchi in primis, ogni tanto c’è spazio anche per qualche elogio verso chi ha scoperto Miano rendendo difficile la certezza della tesi che lo descrive come un grande hacker. Le indagini effettuate dagli uomini del CNAIPIC, durate quattro anni, hanno portato all’arresto e a una risoluzione del caso, ma resta qualche dubbio sulla capacità di chi li comanda, lo Stato, nel coordianre strategie difensive non solo dagli attacchi esterni, come quelli DDoS di NoName, Killnet ormai superati, ma anche da quelli interni, dove la criminalità organizzata mira ad acquisire informazioni sui PM e sulle indagini.
Questa vicenda solleva molte riflessioni sulla sicurezza informatica del Paese e la domanda che poniamo al lettore è:
Carmelo Miano può davvero essere una risorsa?
Oppure sarebbe il caso di mettere in sicurezza il perimetro cibernetico nazionale, evitando proclami e fondi mal gestiti?