Donald Trump e Volodymyr Zelensky si sono incontrati alla Casa Bianca per discutere del futuro dell’Ucraina, dopo l’invasione russa. È stato un meeting che potrebbe rimanere nella storia, anche perché ha messo in luce diversi lati critici, tanto dello stesso Trump quanto del presidente ucraino.
Zelensky si è presentato con un’uniforme scura, abbandonando per l’occasione la solita maglietta verde militare. Donald Trump, accogliendolo all’ingresso, ha notato subito il cambio di stile e si è complimentato pubblicamente per la scelta. Questo dettaglio ha suscitato un certo stupore, perché l’Europa aveva ormai “adottato” la mise militare di Zelensky come simbolo visivo della resistenza ucraina. Il linguaggio dell’immagine era stato a lungo utilizzato a scopo di propaganda, per rappresentare la difesa di un popolo aggredito.
La riunione, durata circa 40 minuti, è stata resa in parte pubblica alla presenza dei media. Nel corso dell’incontro, Zelensky — come già accaduto in altri consessi internazionali — ha mostrato un atteggiamento piuttosto diretto e, a tratti, irrituale: ha interrotto più volte l’interlocutore, avanzando continue richieste in modo insistente, come se si trovasse ancora in un contesto europeo dove spesso gli era stata concessa ampia libertà comunicativa. Ciò ha suscitato un certo disappunto, soprattutto alla Casa Bianca. Donald Trump e il vicepresidente J.D. Vance si sono mostrati accomodanti nell’ascoltare Zelensky, ma non hanno nascosto un certo fastidio per i modi del presidente ucraino.
Tale dinamica potrebbe riflettere un più ampio problema di “stile istituzionale”. L’Europa, infatti, si è spesso identificata in Zelensky, condividendone il messaggio e la retorica bellica, ma ha anche dimostrato talvolta scarsa coerenza diplomatica. Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha più volte accusato i leader europei di evitare il confronto diretto ai tavoli internazionali, abbandonando le sale mentre lui parlava. Questo comportamento — in apparenza una dimostrazione di dissenso — è stato invece letto da molti come una mancanza di professionalità.
Durante il confronto, Zelensky ha insistito sul presunto pericolo che la Russia potrebbe rappresentare, in futuro, anche per gli Stati Uniti: una tesi già proposta più volte ai governi occidentali per convincerli a sostenere finanziariamente e militarmente l’Ucraina. Trump ha replicato che gli USA conoscono bene la potenziale minaccia russa e non hanno bisogno di “lezioni” su questioni strategiche. Ha poi ribadito che, senza il massiccio aiuto americano, la guerra in Ucraina sarebbe già terminata nel giro di poche settimane, evidenziando che gli Stati Uniti sono il principale fornitore di fondi, armi e intelligence a Kiev.
In Europa, molti leader continuano a leggere il conflitto come un braccio di ferro “da portare fino in fondo”, nella convinzione che la Russia sia destinata a esaurire presto le proprie risorse. Invece, le scorte russe di armamenti e la capacità di produzione bellica sembrano non essere così limitate, il che rende lo scenario molto più complesso e duraturo di quanto si prevedesse.
Negli Stati Uniti, il “popolo di Trump” — che taluni media considerano ridotto ai minimi termini, ma che risulta ancora consistente secondo alcuni sondaggi — ha gradito che l’amministrazione voglia arrivare a una soluzione che ponga fine alla guerra. D’altro canto, in Europa, numerose istituzioni hanno espresso approvazione per l’atteggiamento fermo di Zelensky nel rifiutare qualunque accordo di pace che non preveda una completa restituzione dei territori persi.
È interessante notare come ciò sia in linea con la volontà di vari governi europei di continuare a sostenere l’Ucraina a oltranza, sebbene l’efficacia di tale strategia resti dubbia. La percezione comune nell’UE è che un eventuale accordo di pace prematuro potrebbe favorire la Russia, mentre la Casa Bianca di Donald Trump potrebbe essere propensa a trovare una via d’uscita che tuteli in primo luogo gli interessi americani.
Questo incontro ha dunque rivelato una frattura evidente: da un lato, l’intenzione degli Stati Uniti di sondare ipotesi di soluzione del conflitto o, per lo meno, di limitare l’impegno militare; dall’altro, il desiderio di Zelensky (e di un’Europa che lo supporta) di proseguire ad oltranza, nella convinzione di poter piegare Mosca. Resta da vedere se questo dialogo, segnato da divergenze e momenti di tensione, riuscirà a incidere realmente sul corso della guerra o se, invece, continuerà a evidenziare differenze strategiche profonde tra l’amministrazione Trump e i governi europei.
C’è solo un dettaglio: mentre l’Europa sta rinunciando ad una strategia commerciale convertendosi in economia di guerra, gli USA con Trump stanno garantendosi una politica commerciale pronta ad essere uno dei tanti punti di delocalizzazione industriale nelle nuove e vecchie tecnologie con il fine di rappresentare un’opportunità di qualità nella produzione industriale al servizio dell’Occidente che sembra orientato a sacrificare il suo know-how civile in favore di uno militare che alla lunga contribuirà a finire il processo di desertificazione industriale iniziato con il Covid e tutt’ora in corso con la crisi energetica scaturita dal conflitto russo-ucraino.