Inchieste
Dopo AI e Editoria la destra italiana si rompe sul Fair Share
La destra italiana si sfalda sul fair share: Berlusconi e aziende made in Italy vogliono una fee dei colossi Big Tech alle infrastrutture del paese. L’area meloniana vuole più investimenti ed una tassazione europea
Il dibattito sul fair share continua a infiammare l’arena politica ed il settore delle telecomunicazioni in Italia, con posizioni contrastanti che emergono dai vari attori politici ed aziendali. Il fair share è una proposta che mira a far contribuire i giganti del digitale, come le piattaforme over the top (OTT), allo sviluppo e alla manutenzione delle infrastrutture di telecomunicazioni degli operatori di accesso, con la motivazione che esse vengono indirettamente sfruttate per veicolare i servizi ed i contenuti online.
Le fondamenta del fair share
Lista OTT | in Italia |
---|---|
AMAZON PRIME VIDEO | MEDIASET PLAY – INFINITY TV |
APPLE + | MUBI |
CHILI TV | NETFLIX |
DAZN | NOW TV |
DISCOVERY + | PLUTO TV |
DISNEY + | RAIPLAY |
EUROSPORT PLAYER | RAKUNEN TV |
INFINITY | RIVEDI La7 |
ITUNES VIDEO | TIM VISION |
La proposta del fair share, sostenuta in Italia da TIM e da altri importanti operatori infrastrutturati delle TLC, anche europee, è racchiusa in numerosi documenti avanzati negli scorsi mesi alla Commissione Europea ed alle autorità di regolamentazione e riassunti brevemente nella nuova piattaforma online fairshareinitiative.eu. Il sito si articola in cinque sezioni e si apre con un video che espone i motivi e i vantaggi dell’iniziativa. Nonostante gli investimenti di 500 miliardi di euro effettuati negli ultimi dieci anni dagli operatori di telecomunicazioni europei, si stima un deficit di circa 174 miliardi di euro per raggiungere gli obiettivi della digital decade entro il 2030.
Contesto politico attuale in Italia
La questione del fair share in Italia sta vivendo un momento di stallo a causa delle dichiarazioni contrastanti di alcuni membri importanti del governo. Da una parte, il ministro per le Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, appoggia l’idea che le big tech dovrebbero partecipare ai costi delle infrastrutture per favorire ulteriori investimenti nel settore delle telecomunicazioni. Dall’altra, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alessio Butti, considera poco significativa la proposta del fair share “domestico” , suggerendo che tale questione debba essere affrontata meglio a livello europeo per un approccio più coordinato tra gli Stati Membri.
La mossa di Forza Italia
In questo scenario e dopo alterne vicende parlamentari, Forza Italia, con il senatore Maurizio Gasparri in prima linea, ha presentato un emendamento al decreto fiscale che propone l’introduzione di una normativa nazionale sul fair share, affidando all’AGCOM il compito di definire i criteri per il calcolo del contributo dovuto dagli OTT. Questa mossa sembra far emergere una netta divergenza di opinioni all’interno della maggioranza politica italiana riguardo al modo in cui potrebbero essere richiesti e successivamente gestitii contributi chele grandi piattaforme digitali dovrebbero versare per favorire l’infrastrutturazione nel nostro Paese e rappresenta anche un caso raro, se non unico, dove il Governo interviene in un settore dove perfino Bruxelles fa fatica a trovare le condizioni giuridiche ed economiche a sostegno di una simile iniziativa.
Pareri discordanti, ma con punti di incontro tra gli esperti
Dario Denni, fondatore di Europio Consulting, ha criticato fortemente la proposta del fair share, definendola più una tassa che un rimedio regolamentare. Denni sostiene infatti che questa proposta cancellerebbe venticinque anni di regolamentazione dell’accesso ad Internet, ponendo un grave rischio di distorsione del mercato. Secondo lui, le richieste di far contribuire i fornitori di contenuti e servizi online agli investimenti per le reti di nuova generazione non solo sono infondate in termini economici ma rischiano di invertire gli importanti progressi fatti in termini di regolamentazione della neutralità della rete.
Denni ha evidenziato come il settore delle telecomunicazioni deve affrontare in maniera diversa il problema della diminuzione dei ricavi, senza cercare aiuti esterni. Imporre una tassa forzosa ai fornitori di servizi online, secondo Denni, non farebbe altro che aggravare la situazione di squilibrio, stravolgendo la struttura del mercato e creando incertezze legali.
La proposta del fair share, specialmente se introdotta solo in Italia, per Denni è inapplicabile e discriminatoria e potrebbe anche avere effetti negativi sugli utenti finali, perché determinerebbe un aumento dei prezzi e inciderebbe sulla qualità e la quantità dei contenuti e dei servizi disponibili online, con un impatto diretto sui consumatori.
Denni evidenzia come il settore delle telecomunicazioni sia stato già duramente colpito dalla diminuzione dei ricavi e dall’impossibilità di sostenere gli investimenti necessari senza aiuti esterni, incluso il sostegno pubblico del Pnrr. Tuttavia, imporre una tassa forzosa ai fornitori di servizi online, secondo Denni, non farebbe altro che aggravare la situazione, stravolgendo decenni di regolamentazione dell’accesso e creando incertezze legali.
La proposta del fair share, per Denni, non solo è inappropriata ma potrebbe anche avere effetti negativi sul consumo finale, aumentando i prezzi e riducendo la qualità e la quantità dei contenuti e dei servizi disponibili online, con un impatto diretto sui consumatori.
Roberto Beneduci, CEO di Coretech, si esprime a favore della proposta del fair share, sostenendo l’idea di una condivisione dei costi tra le grandi piattaforme tecnologiche e le telecomunicazioni. Beneduci paragona la situazione a quella di un costruttore che deve contribuire alle infrastrutture pubbliche quando sviluppa un progetto in un determinato luogo. Allo stesso modo, afferma, le big tech che costruiscono i loro modelli di business sulle “autostrade digitali” dovrebbero contribuire alle infrastrutture necessarie per supportare questi servizi.
Il CEO di Coretech argomenta che, proprio come nel caso di una costruzione fisica, dove il costruttore contribuisce a opere pubbliche come rotonde o giardini, così le piattaforme digitali, che traggono vantaggio dall’uso intensivo delle infrastrutture di rete, dovrebbero partecipare ai costi di sviluppo e manutenzione di tali reti. Sottolinea che gli investimenti delle piattaforme in infrastrutture private, come dorsali dedicate o data center, non beneficiano la comunità nel modo in cui lo farebbe un contributo al miglioramento delle infrastrutture pubbliche.
Beneduci conclude che non vede contraddizioni tra la proposta di un fair share e la possibilità per le piattaforme di continuare a investire in infrastrutture per i propri scopi, ritenendo giusto che chi beneficia maggiormente delle reti esistenti contribuisca in maniera proporzionale.
Impatto e implicazioni
La proposta del fair share è vista come una misura equa per garantire che chi beneficia maggiormente delle infrastrutture esistenti contribuisca in modo proporzionale ai loro costi. Questo principio non solo aiuterebbe a colmare il divario di finanziamento per gli obiettivi infrastrutturali futuri, ma anche a mantenere un campo di gioco equilibrato tra le telecomunicazioni tradizionali e i giganti del tech. Se Tim e Google vogliono partecipare all’infrastrutturazione del Paese, ben vengano come già avviene visto che sono i soggetti destinatari del Cloud italiano, ma questo potrebbe creare un mix di investimenti pubblici e privati che metterebbero aziende come Amazon e Microsoft nella condizione di scegliere se pagare la quota italiana o decidere di attuare gli investimenti in un paese limitrofo, addirittura extra UE come la Svizzera ad esempio, e limitarsi alla sola fee come player di un mercato già formato ed allo stato attuale monopolizzato dall’asse KKR e Big G.
La scelta di Gasparri sembra giusta e dovuta vista da un’ottica di tutela dell’intermo mercato composto da grandi e piccoli player, come ha anche affermato Beneduci in precedenza, ma in realtà può essere un deterrente all’ingresso di nuovi players facendo consolidare chi tra costi e benefici riesce ad essere competitivo sul mercato coprendo gli alti costi di produzione per la gestione della propria rete come sostenuto da Dario Denni su cui sembrerebbe poggiarsi l’ala meloniana perchè impaurita dall’effetto deterrenza su eventuali nuovi investimenti stranieri e questo però farebbe comodo al gruppo di Forza Italia perchè Mediaset si trova ad essere sia OTT che Telco ed è noto che l’infrastruttura televisiva gravi sui bilanci dell’azienda in modo importante.
Le frizioni nel governo sulle tematiche digitali sono un prosieguo della lotta sulle commissioni AI ed Editoria dove il sottosegretario Baracchini, storico uomo fidato degli interessi editoriali dei Berlusconi, ha nominato una commissione sull’AI nel mondo dell’informazione che ha reso ancora più saldi i rapporti tra Google ed il Governo Italiano nell’ottica del blindare il mondo dell’informazione “certificata” e di “qualità”, i cui effetti sono già stati devastanti per la credibilità del giornalismo in occasione delle ultime elezioni americane e del conflitto ucraino in corso.
L’asse di Baracchini all’Editoria tende a premiare i grossi editori mentre quello di Gasparri ed Urso, esperti di commercio e telecomunicazioni, vuole rendere le questioni più equilibrate tra chi produce forza lavoro e si può considerare una vera e propria industria, vedi Mediaset o Sky, e chi in Italia svolge più una attività di servizi che tende ad essere liquida per la poca consistenza di forza lavoro impegnata. Partita da una nomina controversa come quella dell’amico di Draghi, Giuliano Amato, Baracchini ha poi virato sull’onnipresente, ma inesperto del settore editoriale Paolo Benanti e collegato, tra l’altro, ad un organo di informazione straniero come l’Avvenire del Vaticano, di cui è un editorialista, e nemmeno quotato dal punto di vista Accademico come lo è il professore Francesco Greco messo a capo della Commissione AI implementata dallo stesso Butti e dove Benanti siede al suo fianco. Il link tra la richiesta di Gasparri di pagare soldi “puliti” e subito ed il rischio paventato da Butti sull’allontanamento degli stipendi potrebbe, secondo una fonte interpellata da Matrice Digitale, escludere ulteriori investimenti di competitor come Microsoft e Amazon, favorendo la supremazia politica nel tech di Forza Italia con l’accordo Google e Tim che abbraccia i rami dell’informazione e della infrastruttura di rete web e televisiva.
Prospettive future
Con l’Europa che si avvicina a una nuova era digitale, caratterizzata da un crescente bisogno di infrastrutture avanzate come il 5G e la fibra ottica, la risoluzione del dibattito sul fair share sarà cruciale. L’esito di questa disputa influenzerà non solo il panorama delle telecomunicazioni in Italia, ma anche la strategia europea per un’innovazione digitale inclusiva e sostenibile.