Le elezioni in USA sono la prima guerra civile cibernetica

da Livio Varriale
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Cosa hanno in comune la guerra cibernetica tra la Russia e l’Ucraina e la corsa alle presidenziali degli Stati Uniti d’America?

Può sembrare una suggestione, ma la massa critica dell’Occidente che merita un posto nei salotti tv e nelle pagine di giornale si muove oggi allo stesso modo di quando si escludeva dal giro coloro che non la pensavano ugualmente a quell’area con posizioni diverse sulla pandemia e sul conflitto russo ucraino. Mentre oggi parliamo dell’ennesimo attacco alle infrastrutture ucraine da parte di Fancy Bear, noto APT russo che rappresenta una delle maggiori insidie a livello internazionale nel contesto della guerra cibernetica, si ritorna con la mente all’inizio del conflitto e precisamente quando gli esperti del settore, cooptati secondo l’appartenenza ad un’area, hanno imbastito una narrazione che recitava i successi del fronte occidentale nella cyberwar.

Matrice Digitale mai ha creduto a questa storia, proprio perché parla di guerra cibernetica quotidianamente da tempo ed ha sempre offerto al lettore le notizie dal campo, precisando continuamente la differenza tra il collettivo Anonymous, infiltrato da bande armate della NATO che si spacciavano hacktivisti, ed i gruppi militari statali storici che da tempo preoccupano l’Occidente attraverso cyber attacchi e strategie di cyber spionaggio.

L’ultimo malware emerso in questi giorni, ha messo KO i servizi di riscaldamento di un’intera zona dell’Ucraina, e questo atto si aggiunge alle conclamate azioni di abbattimento dei ripetitori satellitari via SAT il giorno prima dell’invasione russa, quello della cancellazione degli archivi della Polizia Ucraina che ha consentito un blackout dal punto di vista della giustizia amministrativa.

Perché oggi parliamo di guerra cibernetica riferita alle elezioni americane?

Perché di conflitto digitale si tratta, con la sola differenza che avviene tra nemici della stessa popolazione e dello scenario politico locale e si dibatte su un livello diverso da quello dei danni materiali scaturiti dalla guerra perché il luogo scelto è quello del campo dell’informazione e dei social media: luoghi da sempre additati per essere infestati dalle fake news di provenienza russa come parte di una strategia di guerra asimmetrica osservata più volte in questi ultimi 10 anni.

Accertata l’esistenza del conflitto e della propaganda online della Russia, grazie anche alle testimonianze storiche ottenute dalla scoperta dell’operazione Doppleganger, c’è da segnalare anche il fatto che ad esistere non c’è solo quella del Cremlino, ma anche di molti altri paesi come Cina, Iran, Corea del Nord e finanche lo stato amico di Israele. Senza tralasciare la componente NAFO che si è adoperata sui social come X nell’adottare le stesse strategie adottate dal Cremlino.

Dovrebbe far riflettere nell’epoca della post verità il fatto che molte notizie bollate come frutto o strategia della propaganda russa, in realtà si sono dimostrate fondate e scomode per l’establishment europeo ed il fatto che sia esistita, ed esista, questa strategia, c’è una base per dimostrare che delegittimare qualsiasi cosa provenga dai confini sovietici serve a tenere una comfort area utile alla governance di un intero continente in guerra.

Non è un caso che una delle prime azioni adottate dall’Unione Europea ed inserita nel pacchetto di sanzioni sia stata quella proprio di sanzionare, oscurandole, le maggiori testate giornalistiche russe sul suolo del vecchio continente in cui si professa la libertà di stampa e la libertà di espressione e che si traduce ai tempi del web in una effettiva chiusura dello spazio cibernetico per fini di sicurezza nazionale o continentale.

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Già con la pandemia si è instradata la libertà della rete nell’anglosfera europeista ed atlantista in una dimensione di controllo e censura costante attraverso il dominio dei social networks ed il loro controllo attraverso regolamenti, sanzioni, vere e proprie delegittimazioni sia verso utenti e professionisti dell’informazione con un sistema preventivo di valutazione delle notizie sia verso le piattaforme con leggi europee come il Digital Services Act, denominato da molti Ministero della Verità, che promette multe salatissime verso le piattaforme social che non si adeguano non solo alla pulizia dei contenuti vietati per legge, ma anche verso coloro che non applicano filtri su determinate notizie decise da una cabina di regia, indipendentemente dal fatto che siano vere o false.

Avete già dimenticato quando Macron provò a far applicare in anticipo il Digital Services Act per oscurare in rete le rivolte francesi dopo l’omicidio della polizia a Marsiglia?

Questo metodo è oramai rodato sin dai tempi della pandemia ed i riscontri sono sono stati forniti proprio dagli stessi proprietari delle piattaforme social, fino ad arrivare alla guerra in Ucraina con le piattaforme di Meta che hanno addirittura implementato un sistema di social scoring cinese ed hanno utilizzato lo strumento dello shadow ban senza avvisare gli utenti. Il ban ombra è utilizzato nei nei confronti di utenti o pagine, comprese quelle di attivisti e giornalisti, che pubblicano post che non saranno mai letti anche se dovessero un milione di seguaci perché vittima di un ban costante che consente all’algoritmo di tagliare totalmente la visibilità dei loro contenuti.

Lo shadow ban non esisteva fino a poco tempo fa, come molte cose era una teoria di complottologhi, ma poi si è scoperto che lo shadow ban è uno strumento dei complottisti in danno alla libertà di espressione e non solo è accertato che esiste, ma è proposto da alcuni salotti come la soluzione al contrasto dell’odio in rete seppur in realtà cancellerebbe ogni forma di dissidenza civile. Se si ricorre a questa strategia, nessuno può mettere in dubbio che quelle adottate in precedenza non sono state in grado di garantire l’onorabilità di chi ci governa.

A questa riflessione si aggiunge anche la dichiarazione di Elon Musk che ha accusato l’Unione Europea di togliere eventuali sanzioni nei confronti di X qualora lo avesse adottato verso gli utenti indicati dall’UE e sappiamo già anche di quale area di pensiero.

Cosa c’entra Trump con la guerra cibernetica?

L’aspetto ancora più curioso sulle elezioni americane, e lo abbiamo già trattato nell’inchiesta sull’attentato a Trump, ed è il fatto che la democrazia faro dell’Occidente, ispiratrice dei nostri valori, abbia vissuto in diretta un attentato terroristico al candidato Presidente allo stesso modo come avviene in Paesi, da noi considerati pericolosi, antidemocratici e corrotti come il Messico o la Colombia. A questo si aggiunge anche il fatto che si è parlato molto poco di questo evento, chiuso con la liquidazione del capo dei Servici Segreti, alle dimissioni di Biden ed ha spianato la strada alla candidatura di Kamala Harris. In risposta a questa candidatura, nell’aria da mesi per chi segue realmente e senza filtri le dinamiche USA, abbiamo un candidato alla Presidenza degli Stati Uniti d’America dato per vincitore e scampato ad un attentato che può godere di un finanziamento di 45 milioni circa al mese fino alla data delle elezioni da parte di un magnate che ha speso 44 miliardi di dollari per acquistare una piattaforma social protagonista, negli anni della pandemia, della stessa censura partigiana sulle tematiche del Covid ed in parte anche del conflitto russo-ucraino.

Questo gioco di potere che compete contro il mondo dell’informazione da parte di Elon Musk, sta creando molti problemi all’establishment europeo schierato totalmente contro la piattaforma X con la speranza di riuscire a censurare quanto prima, o almeno il più possibile, le informazioni inerenti la campagna elettorale americana che possano invogliare l’elettorato verso una preferenza trumpiana. La storia dei bot russi è difficile da argomentare sia perché sono state scoperte delle reti, obsolete, sia perchè esistono reti utilizzate dalla NATO molto più all’avanguardia e molto più incisive dal punto di vista della penetrazione sulle piattaforme social.

Nell’opinione pubblica, è consolidato il parere che le reti della disinformazione online agiscono di pari passo con i canali di informazione ufficiale che spesso sposano delle narrazioni non corrispondenti alla cronaca dei fatti che trattano.

Come si sta posizionando l’Italia?

L’Italia si sta posizionando politicamente come si posiziona l’Europa che ha paura di una salita di Trump perché può danneggiare realmente l’economia europea e può smentire gli ultimi 4 anni tra pandemia e conflitto ucraino che culminerebbe con la fine del gelo atlantista con i paesi canaglia, dissolvendo la guerra che lo stesso Trump ha promesso di far cessare in pochi giorni se verrà eletto. C’è molta agitazione e lo si nota anche dal fatto che già sono partite azioni sull’opinione pubblica che tendono a vittimizzare in modo secondario Trump “perchè ha subito un attentato terroristico, vi è scampato ed ora se ne approfitta per fare più voti“. Una narrazione di difesa alla già pessima attività di delegittimazione di chi sosteneva i visibili problemi di salute di Biden, ed i guai giudiziari di suo figlio, ed oggi ci si trova a fare i conti con il passato di Kamala Harris, descritta come figlia di immigrati, ma in realtà sembrerebbe non essere underdog come la Meloni.

L’Italia oggi critica Elon Musk e lo fa anche attraverso esponenti di Governo che lo definiscono senza scrupoli, rovinando quel rapporto positivo apparente che Giorgia Meloni aveva o ha instaurato con il proprietario di X e Tesla, prim’ancora di ricucire con l’ala Trump dopo non aver votato per la Von der Leyen quando si è trattato di decidere la presidenza della Commissione Europea. Attualmente il nostro Paese rivive per l’ennesima volta la campagna di influenza che c’è stata nel 2016 quando nel bel Paese si dava per scontata la vittoria di Hillary Clinton per poi svegliarsi all’ultimo minuto la mattina post elezioni con la sorpresa della vittoria di Donald Trump che smentì totalmente tutta la stampa che oggi esprime la stessa speranza nella vittoria di Kamala Harris anche con qualche sondaggio che la vede preferita dagli italiani rispetto a Donald Trump. Basta leggere i commenti su X per capire che la situazione sia ben diversa ed è proprio questo il motivo per il quale siamo all’interno di una guerra cibernetica dove l’obiettivo da abbattere è forse l’unico social network dove la libertà di parola, nella sua accezione positiva e negativa, è ancora viva.

Peccato che l’esperimento democratico di X nell’Europa della libertà di pensiero, di espressione e di stampa non sia gradito e non merita di essere premiato secondo una imposizione dall’alto vestita con abiti divini.

Si può anche come

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