Meta accattoni: altro che conflitti di interesse di Elkann

da Livio Varriale
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Per chi ha fretta

L’introduzione dell’assistente AI su WhatsApp ha scatenato forti proteste, ma la maggioranza degli utenti continua a usare l’app.

Meta ha annunciato che utilizzerà i dati degli utenti per addestrare la sua intelligenza artificiale.

Molti contestano questa scelta, dimenticando che simili pratiche sono comuni tra le big tech.

Matrice Digitale ha provocatoriamente chiesto una fee annuale a Meta per l’uso dei propri dati.

I fact-checker legati a Meta hanno influenzato l’informazione online con orientamenti politici e
Facebook ha goduto per anni del sostegno di testate italiane, oggi spesso sue oppositrici.

L’hack del 2016 ha messo a rischio milioni di utenti italiani, ma le autorità non hanno reagito con fermezza. La lobby italiana pro-Meta include figure legate a politica, media e professioni legali.

In questi giorni stiamo assistendo a una grandissima rivolta da parte delle più grandi menti del digitale italiano nei confronti di Facebook e Meta iniziate con le critiche verso l’assistente AI che WhatsApp ha inserito indebitamente nella sua piattaforma, senza la possibilità di disinstallarlo.
Tante polemiche e tante considerazioni sono corse, ma alla fine ci siamo trovati dinanzi al popolo bue che ha accettato questa modifica e continua ad usare l’app di messagistica.

Ti piazzo l’intellighenzia e me l’addestro con i tuoi dati

Un’altra vicenda che, invece, fa riflettere è il fatto che Meta abbia inviato un messaggio a tutti i suoi utenti in cui dichiara di voler utilizzare i loro dati per addestrare il proprio modello di intelligenza artificiale.
Tutto questo ci porta a riflettere su un dettaglio notevole, considerando che Meta non è nuova a questo tipo di iniziative.

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C’è però qualcosa da sottolineare: molti di quelli che oggi protestano contro l’addestramento dell’intelligenza artificiale da parte di Meta sembrano dimenticare che questa pratica esiste da sempre, e non riguarda solo Meta, bensì anche altre società con scandali già emersi come nel caso di Snapchat o anche Grok . Ancora più curioso è il fatto che la rivolta contro Meta sia esplosa dopo che Mark Zuckerberg ha preso decisioni importanti che hanno cambiato radicalmente l’impostazione dell’azienda negli ultimi anni.

La provocazione di Matrice Digitale

In questi giorni autorevoli esponenti delle Autorità di Controllo del Governo stanno sponsorizzando l’opposizione a Meta per la raccolta come il GDPR vuole. Bene fanno ad informare i cittadini, ma Matrice Digitale si è spinta oltre.

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L’autore dell’inchiesta ha scritto a Meta chiedendo una fee di 500 euro l’anno per il trattamento dei suoi dati destinati all’addestramento dell’intelligenza artificiale. C’è poco da sperare che venga riconosciuto tale valore ed infatti Meta ha risposto “promettendo” di non trattare i dati. Questa iniziativa non ha una finalità di incasso, ma ha una finalità di far valere un principio in punta di diritto di circolazione del dato di ogni individuo visto che i dati degli italiani sono compromessi. Questa proposta trova spunto dal prof. Andrea Lisi intervistato da Matrice Digitale sul tema.

Mark l’ha fatta grossa ai fact-checkers

Il primo vero oppositore che Mark Zuckerberg ha dovuto affrontare in questo periodo è stato un ampio fronte di giornalisti di mezzo mondo, molti dei quali affiliati a una corrente internazionale favorita nelle whitelist dei social network perché esprimeva determinate posizioni politiche, in particolare vicine ai globalisti e ai democratici americani.

Inoltre, Zuckerberg ha più volte spiegato le pressioni esercitate dalle agenzie di sicurezza degli Stati Uniti d’America sulla sua piattaforma, pressioni che hanno rafforzato il potere dei servizi di fact‑checking, finanziati dalla stessa Meta in diversi paesi. Successivamente, Mark Zuckerberg ha deciso di abbandonare quel programma, suscitando le grandi preoccupazioni dei fact‑checker, soprattutto americani, mentre in Europa la politica sul tema viene usata come arma di ricatto nei suoi confronti.

Ma chi sono coloro che, in questi anni, hanno avallato le politiche di Facebook?

Oggi si parla tanto di sicurezza informatica, ma Matrice Digitale è forse l’unica ad aver condotto una vera guerra contro le piattaforme social, in particolare quelle di Mark Zuckerberg. Facebook è stato il primo social network a introdurre un sistema di social scoring, metodo simile a quello cinese; tuttavia, a differenza del modello cinese, che si fonda su precise regole morali dettate dallo Stato cinese, quello di Facebook è privo di tale cornice etica e si affida ad interpretazioni sbagliate con l’AI.

Questo social scoring si è rivelato una pericolosissima tabella di marcia politica che ha escluso voci autorevoli dalla piattaforma, soltanto perché difendevano tesi che, in seguito, si sono dimostrate veritiere e più logiche delle narrazioni propagandistiche dei media tradizionali sia sul Covid sia sul conflitto russo ucraino. Ed è lo strumento preferito da molti degli accademici, fact-checkers e giornalisti che ne hanno in massa spesso taciuto sulla sua esistenza nonostante si presentassero al pubblico afferenti alla categoria dei cronisti “d’inchiesta” e “cani da presa del potere” per poi scoprire che eventi clou come il Festival del Giornalismo abbiano per anni goduto di Meta come strumento di finanziamento della kermesse.

Facebook ha così annichilito il dibattito pubblico, pendendo sistematicamente da una parte e trasformando l’informazione in pura propaganda.


Tale attività non ha giovato agli Stati che ospitano la piattaforma, i quali continuano a fornirle utenti senza escluderla dal circuito di Internet; al contrario, ha alimentato un certo tipo di giornalismo e cultura, generando enormi disagi come quello di allevare giovani generazioni prive di spirito critico.

C’era una volta il gigante buono

Dal punto di vista della sicurezza informatica, va ricordato che nel 2016 Facebook subì un attacco globale che compromise centinaia di milioni di account: numeri di telefono, e‑mail, indirizzi e perfino preferenze sessuali furono trafugati e diffusi in rete, finendo disponibile nel dark web alla massa. La cosa ancora più grave è che dopo questo hack globale, in Italia chi doveva punire la piattaforma per i suoi 50 milioni di contatti dei nostri cittadini diffusi in rete, parlò di collaborazione con la società mentre in Italia si registrava su WhatsApp la più grande attività di SpearPhishing mai vista: milioni di Italiani vittime di truffe grazie al metodo della pesca a strascico possibile grazie agli archivi rubati.

Come riconoscere un Meta accattone

Non è da sottovalutare, infine, la recente rivolta contro John Elkann, accusato di assumere posizioni troppo permissive nei confronti di Facebook. John Elkann, considerato il suo storico coinvolgimento con la società di Mark Zuckerberg, è forse la persona più legittimata a dormire sonni tranquilli con la propria coscienza. Molti si sono stupiti della nomina del Patron di Fiat, Exxor e Gedi nel board di Meta, ma dimenticano però l’accordo economico di anni fa quando Facebook pagava Repubblica per fare dirette sui suoi canali social oppure quando la piattaforma decideva il board delle notizie nei paesi consultando la linea editoriale di due testate in particolare come Fanpage e la stessa Repubblica.

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In realtà, chi dovrebbe inquietarsi è chi, dopo aver lavorato per Elkann, oggi scrive per un quotidiano concorrente producendo attacchi contro la piattaforma di Zuckerberg, forse perché quest’ultima non premia più quelle stesse testate come dimostrato nell’ultima inchiesta di Matrice Digitale. Qui emergono quelli che potremmo definire gli “accattoni” della privacy sui social media, i cosiddetti gatekeeper – termine anglosassone che li rende fin troppo professionali nello squallore morale che propongono.

Non parliamo solo di giornalisti o editorialisti “pentiti”, ma anche di persone che per anni hanno chiuso un occhio sulle piattaforme di Zuckerberg, inclusi coloro che avrebbero dovuto monitorarle per conto del governo italiano, e che oggi si scandalizzano per le sue manovre. Quando avvenne l’hack da 600 milioni di account (di cui 50 milioni italiani), si concluse che bisognava collaborare con la piattaforma, collaborazione che in realtà portò solo guai.

Si sospetta persino che figure con incarichi politici facciano parte di una cerchia ristretta di collaboratori del sistema Facebook in Italia: studi legali, studi commercialisti e la nota lobby Meta costruita dal responsabile italiano Luca Colombo, cui L’Espresso (prima di passare all’editore Danilo Iervolino) dedicò un’inchiesta minuziosa.

Nel comparto musicale, testate vicine a Facebook arrivarono a sfavorire gli interessi degli artisti caldeggiando le posizioni di Meta contro quelle della SIAE, svendendo ancora una volta i loro cataloghi; solo l’intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato portò a una sentenza che riconobbe un equo compenso per i musicisti sulle piattaforme di Zuckerberg che avrebbe sfavorito la SIAE in danno della FIMI.

Lo stesso sistema è quello che ha tutelato Chiara Ferragni, fino a quando ha potuto, sul caso di Instagram e Sanremo, dove l’influencer approfittò del suo ruolo per fare una “marchetta pubblicitaria” alla piattaforma che le ha dato il successo.

Sul fronte politico statunitense, le pressioni di figure come la famiglia Clinton o George Soros, tramite le loro associazioni contro la disinformazione, crearono non pochi problemi a Zuckerberg.
Durante le scorse elezioni USA, Zuckerberg fu spinto – anche dalla moglie – a destinare, tramite la sua fondazione, centinaia di milioni di dollari a un progetto volto a insegnare agli americani a votare.
Sappiamo poi come si è evoluta la vicenda, così come sappiamo altrettanto bene come Mark Zuckerberg sia stato ricambiato una volta che Donald Trump è tornato al governo.

L’inchiesta potrebbe continuare per ore, ma si ritiene che la sintesi perfetta sia proprio questa.
Abbiamo ricostruito, con questo testo, diverse sfaccettature dell’universo Facebook e della storia dei conflitti d’interesse che, alla fine, riguardano non solo il soggetto più esposto, ma anche coloro che, nell’ultimo periodo, stanno cambiando volto, stanno girando abilmente le spalle nascondendosi dietro la figura ingombrante di Elkan e stanno prendendo le distanze da una piattaforma che evidentemente non riesce più a garantire i loro interessi.

O meglio, se vogliamo dirla francamente, tutti i loro conflitti d’interesse.

Si può anche come

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