Sommario
I social media sono le piazze virtuali dove ad oggi si articola la libertà di espressione e quella di stampa, ma rappresentano anche un mercato dove si vendono prodotti e si muove la visibilità dell’editoria del nostro paese. Un privato che gestisce una “cosa” in parte “pubblica” dovrebbe garantire le parità previste dalla Costituzione, ma questo non avviene e non solo per scopi commerciali, ma per le pressioni che i governi fanno costantemente esercitando ingerenze sull’opinione pubblica come dimostrato dalle audizioni in Senato dei CEO negli USA nella Post-Pandemia e nelle intenzioni programmatiche Europee in continuità con l’attuale governance. Quelle che dovevano essere il nuovo fronte dell’attivismo politico del nuovo mondo, oggi sono delle camere stagne, o echo rooms, dove si isolano forme di pensiero autoreferenziali ed ignare dei fatti politici e sociali della vita reale oppure luoghi dove si scontrano ideologie diverse con ogni strumento disponibile, compresa l’arma della delegittimazione, della manipolazione e delle Fake News.
C’è però un aspetto importante che denota il rischio per la democrazia che consociamo ed è la trasformazione tra notizie di diverse testate aderenti dal complesso italiano ad una struttura verticistica che proviene da fuori il contesto statale ed appartiene ad una forma di democrazia diversa da quella Costituzionale e la trasformazione dell’informazione in un mercato puro che prevale sulla necessità di esprimere opinioni diverse su questioni spinosi perché la notizia va prima verificata non secondo la sua affidabilità bensì secondo degli standard di narrazione stabiliti che influiscono sul valore di mercato di concessionarie di pubblicità straniere.
Social media in Europa: campo di battaglia
Il mondo dei social media è arrivato al capolinea dopo la dichiarazione di Elon Musk entrato in conflitto con l’Unione Europea, che ha stabilito che la vendita di un profilo verificato al pari di una fonte attendibile non è compatibile con il Digital Service Act. Questa accusa mossa dall’Unione Europea in realtà nasconde un braccio di ferro politico tra Elon Musk e la stessa Commissione, che opera in regime di continuità dopo le ultime elezioni europee. Non è un caso infatti che Elon Musk è stato più volte bersagliato per essersi opposto a delle pratiche censorie da parte dell’Unione Europea sull’attività del suo social media.
Il suo social media, acquistato dai successori di Jack Dorsey quando si chiamava Twitter proviene da un periodo degli ultimi anni dove l’Unione Europea ha applicato dei protocolli internazionali condivisi anche con le agenzie di sicurezza federali statunitensi e dei Five Eyes, comprendenti i paesi anglosassoni più rilevanti, che hanno esercitato delle vere e proprie attività di pressione sulle piattaforme dei social network partendo dalla pandemia e continuando a farlo in concomitanza con lo scoppio del conflitto in Ucraina.
L’Unione Europea, attraverso le decisioni della Commissione, come primo atto nelle sanzioni contro la Russia che ha invaso l’Ucraina ha oscurato i siti di informazione del Cremlino. A questa azione che ha dato l’impressione a molti di essere uno strumento per consolidare un’attività di propaganda interna contro la minaccia proveniente dall’esterno in un modo così radicale da preferire di rinunciare per il bene dei propri cittadini alla fruizione di notizie globali restringendo il campo di approvvigionamento informativo. Elon Musk è subentrato in questo periodo oscurantista proponendosi per la modica cifra di 44 miliardi di dollari nell’alternativa a quella che in effetti è sembrata una propaganda interna al contesto euro atlantico.
X ha spesso giocato al rialzo con le richieste di Bruxelles che ha risposto con dei procedimenti di indagine contro la piattaforma, dapprima contro la pedofilia online e i contenuti sessuali di abuso su minore, ospitati da gran parte delle altre piattaforme e trattati in modo differente rispetto ad X, e allo stesso tempo ha intimato ad X di essere una piattaforma molto più veloce nell’individuare quelli che sono considerati contenuti controversi o notizie false e di eliminarli subito dalla piattaforma.
Elon Musk ha mostrato alla sua utenza in cerca di una piattaforma libera da tempo, di importarsi poco o nulla delle potenziali sanzioni, insistendo nella sua offerta di Free Speech.
La censura Social: come i media e giornalisti vengono censurati
Oltreoceano, gli Stati Uniti d’America hanno fatto altrettanto e peggio nei confronti di TikTok mettendola nella condizione di vendere entro sei mesi con un ordine della Casa Bianca per la sua nazionalità cinese e questo scenario ultimo si aggiunge alle pressioni esercitate su Twitter e su Facebook dove dirigenti delle aziende facevano svolgevano funzioni “a braccio” di fact checkers disponendo ban nei confronti di giornalisti, medici, scienziati e politici che la pensavano in modo diverso rispetto alla pandemia e all’Ucraina con la stessa ammissione dei CEO delle rispettive piattaforme Zuckerberg e Dorsey.
L’attività del social parallela a quella di un regime democratico dorato è possibile descriverla attraverso le attività intraprese dalle diverse piattaforme social. In primo luogo c’è l’autocensura da parte del gruppo Meta che ha escluso i contenuti divisivi che riguardano le questioni e le tematiche sociali dall’algoritmo e ad oggi devono essere sbloccate dagli utenti di Instagram e Threads. Un altro approccio che c’è stato su Twitter negli anni precedenti alla trasformazione in X è stato quello di censurare un’unica parte del pensiero che alberga all’interno dei social network in favore di quella politica americana che si riferisce esplicitamente alle posizioni dei democratici e le aderenze di molti dirigenti ai Dem sottoforma di sostenitori lo hanno dimostrato.
La posizione di Meloni rispetto all’Europa
In Italia, Giorgia Meloni ha più volte fatto pressioni quando non era capo di governo ed ha chiesto da rappresentante dell’opposizione di bersagliare le piattaforme social per i loro ban poco chiari, ma si è dimostrata diversa dalle premesse una volta eletta. Perché Meloni nulla sta facendo contro le piattaforme e sta seguendo il filo logico intrapreso dall’Unione Europea da diversi anni a questa parte.
Come si è articolato il fenomeno di contrasto alla disinformazione in Unione Europea?
Per anni si sono utilizzate le metriche di una società privata spacciata per pubblica, Newsguard per poi arrivare a diverse redazioni di fact checking che svolgono il loro lavoro in modo scientificamente, almeno in apparenza, perfetto, ma in realtà non è così.
In primis perché vanno sempre a colpire tutto ciò che proviene dalle voci ostiche all’Unione Europea e mai mettono in discussione l’attività o le dichiarazioni dell’Istituzione che li finanzia, compresa l’attività della Commissione, proprio per evitare di perdere i fondi che sono stati stanziati.
In più l’Unione Europea ha stabilito che ci sono dei piccoli Ministeri delle Verità che alberano all’interno di università scelte su bando che ospitano i centri per il contrasto alla disinformazione finanziati con diversi milioni di euro e che svolgono delle attività che sono parallele alla ricerca nel campo delle notizie false ed allo stesso tempo collaterali a direzioni politiche visibilmente orientate sul campo dem. Con l’obiettivo della lotta al sovranismo, l’Unione Europea in realtà sta portando avanti una campagna di censura nei confronti di coloro che esprimono pensieri contrastanti alle attività della Commissione, non necessariamente sovranisti e antieuropei, iniziando a censurare l’ironia social e la satira sottoforma di meme spesso definita come “disinformazione” dalle piattaforma social dalle squadre di FactChecking di Facebook.
La sovranità dell’informazione appartiene agli USA
Facebook è stata più volte segnalata da Matrice Digitale come una piattaforma ideologicamente cinese perchè utilizza un protocollo di social scoring nei confronti di coloro che esprimono opinioni, idee, e che spesso riportano fatti, notizie ed articoli e li censura nascondendosi dietro la sua rete di fact checkers che, a distanza di anni, è compromessa nella credibilità tanto da portare il social network ad effettuare a monte un taglio organico della visibilità dei post di tutti gli utenti di cui tutti ne vedono gli effetti.
Il caso Ultima Cena all’apertura dei giochi olimpici di Parigi in realtà è stato lampante perché si è consentito ai fact-checker di bollare contenuti non dimostrabili con certezza come fuori contesto relegandoli all’oblio della Rete nonostante più fonti, anche quelle interne all’organizzazione, hanno argomentato che un parte della scena del rito di Dioniso era un richiamo visivo all’Ultima Cena di Leonardo e l’attività subdola è stata quella ci censurare la foto che li mette a paragone in modo tale che gli utenti non possono fare loro stessi un paragone visivo.
Non è un caso infatti che se oggi si apre la lista delle notifiche all’interno di un profilo Facebook crescono in numero gli amici in comune che utilizzano i tag “mettere in evidenza” o “follower” con la speranza che il messaggio venga notificato a tutti i contatti perché la maggioranza ha avvertito una perdita vertiginosa delle visualizzazioni.
Inoltre, Facebook è stata già criticata in passato per avere una white list di persone che hanno la verifica, stessa cosa su Instagram e lo stesso Threads, e che vengono ritenute più credibili e affidabili di coloro che la spunta non ce l’hanno o di coloro che sono professionisti affermati e non hanno un’attività costante di collaborazione sul social attraverso la pubblicazione di post ed anche se pubblicassero ogni giorno, l’argomento da scegliere è fondamentale prima di quello che si va a raccontare e nel suo modo. Una censura preventiva o un’affermazione nei confronti degli utenti di una necessità di autocensurarsi preventivamente.
Social scoring e ban ombra: tempi difficili per i media
Ad aggiungersi a questa logica c’è anche YouTube che, nonostante abbia in passato più volte bannato persone e soggetti, compresa Matrice Digitale accusata di vendere farmaci da prescrizione, si è allineata ai principi del DSA anche dal punto di vista umano ed ha un centro di assistenza per i creator che risponde a differenza degli algoritmi di Meta che non prevedono verifiche immediate e non si impegnano a rispondere entro un limite di tempo ed addirittura richiedono agli utenti detentori di profili di acquistare il badge di verifica per non avere la pubblicità in piattaforma come disturbo e per fornire di un servizio di assistenza che non c’è quando un utente medio si vede il proprio profilo sottratto.
In più, Facebook, nascondendosi da dietro il suo algoritmo cinese di social scoring, sta iniziando a bannare ed a eliminare profili delle pagine per delle notizie che rispettano le loro policy, ma che vengono sistematicamente rimosse dai loro post fino a fargli scattare delle sanzioni che culminano in alcuni casi come esclusione dalla piattaforma.
Addirittura entra nel merito della linea editoriale censurando e cassando determinati contenuti che fanno attività di informazione, bollandoli come violenti o addirittura come spam. Ma la realtà è che più volte Matrice Digitale ha notato che alcuni dei competitor di Facebook vengono oscurati dalla stessa piattaforma.
Infatti articoli che parlano di altre piattaforme social media o addirittura di prodotti di smartphone vengono bollati con le scuse più diffamanti e soprattutto non corrispondenti al vero come violenza, spam, clickbaiting. Bisogna invece ritornare ad X ed affrontare i famosi ban di Alex Orlowski e Radio Genoa che hanno portato un caso anomalo al trend della moderazione dei contenuti vista dai tempi di Twitter. Da una parte un utente condiviso qualche volta da Musk riabilitato dopo diverse segnalazioni, a differenza di Orlowski bannato per presunta attività di dossieraggio.