Inchieste
Italia, 2023: DDoS a banche, malware mirati e Profili social rubati
Tempo di lettura: 5 minuti. Non c’è solo l’ennesimo attacco DDoS di NoName057, ma una campagna malware che ha puntato l’Italia e anni di soprusi agli italiani sui social
Primo agosto di fuoco per lo spazio cibernetico italiano ed i suoi pompieri delegati alla cybersicurezza.
l’Italia si è svegliata con un altro attacco hacker da parte di NoName057. Il gruppo di hacktivisti russi, noto per le sue scorribande di attacchi DDOS nel mondo dell’infrastrutture informatiche globali occidentali filo atlantiste ha buttato giù 16 siti rendendoli in accessibili.
Anche in questo caso “non ci sono stati danni al infrastrutture informatiche ed alla mole di dati che queste conservano degli utenti”: è il messaggio che l’Agenzia Nazionale per la Cybersicurezza ha diffuso attraverso la stampa preferita facendo ancora una volta capire che gli attacchi di DDOS non possono far male e sono solo una pura attività di propaganda.
In realtà non è andata così, perché sono state cinque le banche rese indisponibili attraverso il loro servizio Internet e questo disservizio, seppur per un arco di tempo inferiore alle 24 ore, lo hanno ricevuto gli utenti che non hanno potuto usufruire di uno dei primari servizi di cui un cittadino ha bisogno: il proprio denaro.
Seppur gli Istituti di Credito siano parte di un contesto privato, la rilevanza in realtà è pubblica perché è elementare associare il diritto di poter disporre dei propri risparmi, del proprio denaro, ad una esigenza pubblica e di sicurezza nazionale. Questo ovviamente fa intendere che i consigli per mitigare l’attacco diramati dall’Agenzia e diffusi dai suoi house organ siano in realtà frutto di un presupposto sbagliato: bisogna intervenire prima e non quando milioni di utenti non riescono ad accedere al proprio denaro.
Una situazione simile, se prolungata, può essere disastrosa e questo è uno degli aspetti riconosciuti anche dal World Economic Forum che tra le prossime pandemie ha individuato quella informatica. Una giornata iniziata male per l’Agenzia della Cybersicurezza italiana che aveva rilevato un flusso di attacchi hacker già nella sera precedente e non è stata in grado di evitare il peggio e questa è la notizia che non vogliono venga diffusa.
Anche siti web come quello dell’azienda di Trasporti Bergamo o l’Azienda Napoletana di Mobilità sono stati coinvolti, e non è la prima volta che questo succede, facendo ovviamente intendere che ci sia stata una negligenza da parte della Pubblica Amministrazione preposta alla difesa cibernetica, interna e sottoforma di apparato elefantiaco esterno, di quello che viene classificato come perimetro cibernetico dagli stessi interessi nazionali.
Di male in peggio: una campagna attiva esclusa dai bollettini del CSIRT
Inoltre, sempre nella giornata di ieri, è sfuggita ai poliziotti della Cyber una campagna malevola che, secondo la società di ricerca Proofpoint, sta interessando in questi giorni l’Italia attraverso, Wikiloader, che ha preso di mira le aziende italiane con un servizio di malwareasservice e che ha fatto in modo che ci fossero diverse infezioni ai dispositivi italiani con i malware Gozi e Ursnif. L’aspetto ancora più interessante di questa vicenda è la sovrapposizione tra l’Agenzia per l’Italia Digitale (Agid) che, a differenza dei bollettini del CSIRT spesso scopiazzati dagli avvisi delle agenzie straniere come la Cisa statunitense, ha anticipato nel corso dei suoi report settimanali la rilevazione della campagna di Ursnif.
Se c’è una struttura che è preposta alla classificazione di rischi in cui il paese si trova dovrebbe essere l’ACN e questo fa intendere molto sulle ridondanze che il settore pubblico presenta all’interno della sicurezza informatica. Continuano quindi gli attacchi di DDOS alle infrastrutture del paese che mettono ovviamente il rischio la stabilità dell’erogazione dei servizi informatici più o meno importanti e sembrerebbe scontato quanto giusta la proposta di Flavio Palumbo a Matrice Digitale #️⃣ di iniziare a richiedere obbligatoriamente ai titolari dei servizi di hosting la capacità di poter fornire un servizio di mitigazione incluso nei servizi di locazione dello spazio cibernetico utile alle attività di rilevanza pubblica.
Meta continua a supportare i criminali informatici nel silenzio di Garante Privacy e Istituzioni
Se questo è poco, c’è invece da notare come continuino indisturbate le campagne dei cybercriminali nella sottrazione di identità agli utenti del gruppo Meta. La truffa è sempre la stessa e si affina nel tempo con richieste di codice numerico per eludere l’autenticazione a due fattori agli utenti del social da parte di profili amici compromessi.
La colpa è di chi ci casca, vogliono farci credere, ma in realtà sono anni che ci troviamo dinanzi ad un favoreggiamento delle piattaforme social, in primis, al compimento di questi crimini a causa dell’impossibilità da parte delle vittime di recuperare i loro profili seppur abbiano tutte le informazioni necessarie al supporto degli algoritmi e degli inutili servizi di assistenza per ripristinare e salvaguardare le proprie vite virtuali.
Nonostante le piattaforme forniscano un dedalo di informazioni, il comportamento della Pubblica Amministrazione è gelido quanto quello di un colletto bianco che gira lo sguardo dinanzi ai crimini commessi e nonostante, come avviene nel caso di Instagram, si producono video selfie che rassicurano la piattaforma sulla certezza che a richiedere il profilo indietro sia l’effettivo creatore e titolare, non si ottiene quella che in gergo si chiama giustizia.
L’unica soluzione trovata fino ad oggi, sempre nel silenzio delle Istituzioni, è stata quella di far pagare il servizio di assistenza attraverso lo status symbol della spunta blu. Il fallimento dello Stato sta proprio in questo: non riesce a tutelare un cittadino dinanzi ad una azienda straniera che prima acquisisce in modo borderline i suoi dati, trattandoli spesso in barba alle leggi, di certo non quelle italiane visto l’immobilismo del Garante smentito puntualmente da quello Europeo, e poi consente ai criminali di agire indisturbati nella truffa ai loro danni.
E come spesso avviene, oltre al danno procurato dallo Stato per omesso controllo, le persone innocenti subiscono la truffa e la risposta nelle caserme dove si va a sporgere denuncia è spesso : “non possiamo fare molto, si riapra un profilo”. Fredda, gelida che non ha presente il fattore umano che ha spinto gli utenti a caricare pensieri e foto di una vita, colpevolizzandoli per essere stati sprovvisti di acume nel prevenire la truffa subita al grido del “te la sei cercata e meritata”.
Oggi ci sono soldi pubblici da spendere e spandere e all’improvviso i social pullulano di istituzioni che dopo anni di silenzio si travestono da influencer e dispensano consigli per sopravvivere alla giungla digitale, cosa che denota in realtà l’impotenza dello Stato nel fare la voce grossa con i potenti. Eppure una soluzione sarebbe molto facile da attuare con un po’ di buona volontà giusto per far sentire anche un po’ di pressione alle piattaforme sul fatto che possono concedere visibilità e libertà di espressione a chi vogliono, ma devono tutelare i cittadini dai crimini commessi ai loro danni.
Eppure la soluzione c’è: la Polizia Postale dovrebbe avere un canale con il pubblico dove attraverso un modello precompilato si sporga denuncia e si attivi una procedura per il recupero del profilo perso. Oggi i soldi ci sono per avviare questo tipo di attività che renderebbe anche vani i tentativi dei criminali nel sottrarre profili per rivenderseli o semplicemente per aumentare il giro di truffe finanziare collegate all’utilizzo degli spazi social hackerati per fare pubblicità ad attività fraudolente.
Grandi progetti, nuovi contenitori elefantiaci della pubblica amministrazione con budget di spesa a pioggia e poi, nel 2023, non si è ancora capaci di mitigare attacchi alle infrastrutture del paese e dopo 20 anni ancora lo Stato non riesce a far comprendere alle piattaforme chi comanda nell’interesse dei propri cittadini e del contrasto alla criminalità cibernetica, almeno per quel che concerne il furto di identità.
Speriamo che tutto questo piano di “resilienza non sia come quello del terremoto dell’80” Stanzione e Frattasi, due campani del resto, sono ancora in tempo per evitarlo.
Inchieste
I Core Update di Google censurano Internet e fomentano truffe SEO
Da quando è iniziata l’epoca dell’intelligenza artificiale, Google sta trasformando la rete. Google ha la capacità di farlo? Assolutamente sì, essendo l’azienda monopolista su cui si basa il maggior numero di ricerche online. Non solo grazie al suo motore di ricerca, ma anche grazie a YouTube, un altro potente motore di ricerca video appartenente alla stessa azienda statunitense.
L’aspetto più importante di questa situazione, già descritto da Matrice Digitale, riguarda la componente su cui Google sta basando la ricerca. Nei risultati si trovano spesso aziende con solidi rapporti con la società e considerate autorevoli. Stiamo assistendo a cambiamenti significativi nel mondo della ricerca, dipendenti dalle scelte editoriali di Google, azienda che sembra non riuscire a trovare una linea chiara oppure ce l’ha e non risulta essere la migliore per la totalità degli utenti e degli imprenditori.
SEO prima vittima ed Editori privilegiati
Le prime vittime sono stati i siti internet che per anni hanno lavorato sul posizionamento SEO (Search Engine Optimization). Questa attività ha subito cambiamenti radicali, soprattutto a causa dei Core Update di Google: aggiornamenti strutturali dell’algoritmo che determinano il posizionamento delle pagine. Il funzionamento esatto di questi aggiornamenti non è chiaro, ma esistono sospetti che non si tratti di un algoritmo autonomo. Emergono ipotesi di rapporti diretti tra Google e aziende editoriali, che ricevono finanziamenti per produrre informazione. Un tempo garantiti dallo Stato, questi fondi provengono ora da privati verso altri privati. Un settore, quello di Google News, che rappresenta una lobby gestita dai soliti noti ed in mano alla politica così come raccontato nell’inchiesta a tema di Matrice Digitale.
Google fa politica, riscrive la storia e chiude il mercato
Google non risponde solo a logiche commerciali, ma mostra un indirizzo politico, influenzato da lobbisti e dinamiche globali. Con l’eventuale ritorno di Donald Trump, potrebbe modificare il proprio posizionamento sui contenuti visibili in rete anche se ad oggi risulta essere in antitesi alla cordata di Musk dove si sono aggregati dopo l’esito delle elezioni sia Zuckerberg sia Bezos con tanto di strizzatina d’occhio da parte di Gates.
Un altro aspetto rilevante è l’ascesa di nuovi motori di ricerca basati su intelligenza artificiale, come SearchGPT di OpenAI, che fornisce risposte in base a domande anziché parole chiave. Questo fenomeno solleva questioni legate a linee politiche imposte da multinazionali, governi e organi sovranazionali.
Google sta riscrivendo la storia: deindicizza o rende inutili contenuti alternativi rispetto alla narrazione mainstream dell’informazione, della ricerca scientifica e della politica. Giornalisti e artisti vengono relegati in fondo ai risultati di ricerca, generando caos tra chi si occupa di ottimizzazione dei contenuti e chi cerca di emergere nel panorama informativo.
I Core Update e l’esempio della manina dietro l’algoritmo
I Core Update premiano spesso siti improbabili a scapito di quelli storici e di qualità. L’ottimizzazione della ricerca proposta da Google si basa su due principi: la velocità di caricamento e l’autorevolezza. La velocità è valutata tramite i Core Web Vitals, mentre l’autorevolezza si costruisce attraverso citazioni da fonti ritenute autorevoli. Questo sistema ha spinto le testate editoriali a omettere chi ha dato la notizia per primo, modificando il panorama giornalistico oltre a fomentare un mercato parallelo di citazioni a pagamento sulla base di insider trader all’interno delle redazioni di siti posizionati con un ottimo page rank.
Google censura le notizie e non premia il giornalismo
Google dovrebbe premiare, secondo regole meritocratiche, chi fornisce le notizie in anteprima. Tuttavia, l’algoritmo sembra invece favorire chi mantiene rapporti privilegiati con l’azienda. Parallelamente, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei contenuti ha premiato siti di affiliazione di dubbia qualità, dimostrando l’incoerenza del sistema dove richiede contenuti esclusivi per poter indicizzare in modo privilegiato i contenuti. Google censura inoltre notizie esclusive, che spesso non appaiono tra i risultati di ricerca nelle categorie news o video e non è chiaro secondo quale principio.
Google facilita le truffe nel mercato SEO ?
Le regole opache di Google stanno trasformando il settore, creando difficoltà a chi si occupa di SEO, costringendo molti professionisti a cambiare mestiere o a proporre servizi poco efficaci.
Questa situazione sta livellando il mercato verso il basso. Da un lato, esistono persone oneste ma impreparate; dall’altro, truffatori che approfittano di aziende incapaci di navigare le nuove regole. I Core Update stanno favorendo un sottobosco di figure poco professionali, aumentando la sfiducia nelle opportunità offerte da Internet.
Il web, un tempo simbolo di libertà e accessibilità, sta diventando un luogo sempre più chiuso e costoso. Oggi, per emergere, non basta più creare un blog o un sito di qualità: bisogna investire ingenti somme per promuovere contenuti indicizzati ma invisibili senza la garanzia di un ritorno. Questo sistema alimenta il business dei social network, creando un cartello economico che avvantaggia un ristretto gruppo di grandi aziende.
La rete sta subendo una trasformazione radicale, diventando sempre meno libera e non solo per quanto riguarda la varietà delle informazioni, ma anche per le possibilità di accesso al mercato globale. I contenuti vengono manipolati per favorire narrazioni di parte, alimentando sistemi propagandistici, a volte anche di tipo militare visti gli ultimi tempi, capaci di spingere intere società verso conflitti prima social e, in casi estremi, globali.
Inchieste
Stalking, bullismo e Report Bombing su Vinted: assistenza latita
Tempo di lettura: 3 minuti. La storia di Chiara, vittima di report bombing su Vinted, evidenzia gravi carenze nella gestione dei reclami e nella protezione degli utenti da bullismo e stalking digitale.
Le piattaforme di e-commerce e scambio di beni usati, come Vinted, sono sempre più diffuse grazie alla loro capacità di connettere persone in cerca di convenienza e sostenibilità. Tuttavia, quando il sistema di gestione dei reclami e la moderazione non funzionano come dovrebbero, queste piattaforme possono trasformarsi in un terreno fertile per abusi e vessazioni al limite dello stalking. Questo è il caso di una venditrice esperta, che chiameremo Chiara, la cui esperienza raccontata in ESCLUSIVA a Matrice Digitale getta luce su gravi falle nella gestione di problematiche critiche da parte di Vinted e della tecnica del Report Bombing subita per mesi.
Dieci mesi di vessazioni
Chiara, iscritta su Vinted dal 2021 con un profilo di alta reputazione (340 recensioni, 4.9 di rating), si è trovata vittima di un autentico report bombing. Dopo un diverbio con un’utente aggressiva sul forum, il suo account è diventato il bersaglio di segnalazioni continue, apparentemente infondate. Secondo quanto riferito, l’utente in questione ha dedicato mesi a segnalare ripetutamente i suoi articoli, portando alla rimozione di inserzioni, al blocco temporaneo dell’account e, infine, a una sospensione permanente.
Le segnalazioni, spesso ridicole, includevano accuse di:
- Vendita di articoli inesistenti o doppi (anche quando non lo erano).
- Violazioni di copyright, nonostante Chiara avesse dimostrato di essere l’autrice delle immagini.
- Vendita di brand contraffatti, malgrado fossero presenti etichette, scontrini e altri documenti di autenticità.
- Articoli ritenuti non sicuri, senza prove concrete.
Nonostante le numerose prove fornite da Chiara, Vinted ha risposto con messaggi preconfezionati e, nei casi di insistenza, con risposte giudicate sgarbate e prive di umanità.
Assenza di tutela e inadeguatezza dell’assistenza
Chiara ha segnalato ripetutamente le minacce ricevute, allegando prove documentali, ma le sue richieste sono rimaste inascoltate. Paradossalmente, l’utente che ha perpetuato il report bombing continua a utilizzare la piattaforma indisturbata, nonostante alcune recensioni la descrivano come una persona problematica.
Dopo mesi di tentativi infruttuosi, Chiara ha aperto un reclamo presso un organo europeo (ODR), ma anche in questo caso non ha ottenuto alcuna risposta. Ha inoltre tentato di contattare Vinted attraverso l’indirizzo email legal@vinted.it, indicato come riferimento per controversie legali, senza ricevere alcun riscontro.
La questione del bullismo sulle piattaforme digitali
L’esperienza di Chiara mette in evidenza un problema sistemico. Nonostante il grande successo di Vinted, la piattaforma sembra trascurare l’importanza di una gestione responsabile delle problematiche degli utenti favorendo non solo il proliferare di truffe, ma anche la stalking ai danni dei venditori. Le accuse di bullismo e stalking digitale non possono essere ignorate, soprattutto quando si tratta di episodi documentati con prove.
La mancanza di un’assistenza adeguata solleva interrogativi sulla capacità di Vinted di proteggere i propri utenti da abusi e vessazioni. In un’era in cui le denunce per comportamenti scorretti online sono in aumento, è essenziale che piattaforme di questa portata si dotino di strumenti efficaci per contrastare episodi di cyberbullismo e stalking.
La vicenda di Chiara non è un caso isolato, sono tante le anomalie raccontate da Matrice Digitale su Vinted ed il suo sistema spesso claudicante nel garantire venditori e consumatori vittime di truffe e minacce, ma rappresenta un esempio emblematico di come l’assenza di un’assistenza efficace possa esacerbare situazioni già gravi. È fondamentale che Vinted e altre piattaforme simili rivedano le loro politiche di moderazione e assistenza, adottando un approccio più umano e trasparente per garantire la sicurezza e la tutela di tutti gli utenti.
Inchieste
Elezioni annullate in Romania: cosa è successo? E’ un colpo di stato?
Tempo di lettura: 5 minuti. Romania annulla le elezioni presidenziali: 85.000 cyberattacchi e manipolazione su TikTok costringono a ripetere il primo turno.
La Romania si trova nel mezzo di una crisi politica e tecnologica senza precedenti: la Corte Costituzionale ha annullato il primo turno delle elezioni presidenziali dopo oltre 85.000 attacchi informatici contro i sistemi elettorali e un’influenza significativa su TikTok attribuita a campagne coordinate. Questi eventi hanno portato all’annullamento del ballottaggio previsto e all’intervento della Commissione Europea per indagare su manipolazioni sistemiche e rischi legati alla piattaforma.
Cyberattacchi e manipolazione elettorale
Secondo il Servizio di Intelligence Rumeno (SRI), il sistema elettorale è stato preso di mira da oltre 85.000 cyberattacchi, compresi tentativi di compromissione dei server dell’Autorità Permanente Elettorale. Questi attacchi, attribuiti a un presunto attore statale, avevano come obiettivo il furto di credenziali e la manipolazione dei dati elettorali.
Un altro elemento chiave è stato l’uso di TikTok per influenzare gli elettori. Una rete di 25.000 account falsi ha promosso il candidato pro-Mosca, Călin Georgescu, attraverso video virali e strategie coordinate di disinformazione. Sebbene non vi siano prove che il candidato fosse direttamente coinvolto, la Corte Costituzionale ha sottolineato che l’intero processo elettorale è stato compromesso, richiedendo la ripetizione del primo turno.
Le manipolazioni non si sono limitate alla disinformazione. Credenziali rubate sono state trovate in forum russi, alimentando preoccupazioni sulla sicurezza dei dati e sull’integrità del voto. La decisione della Corte di annullare le elezioni è stata definita dal Primo Ministro Marcel Ciolacu come “l’unica soluzione possibile per preservare la democrazia”.
Intervento della Commissione Europea
In seguito agli eventi, la Commissione Europea ha emesso un ordine di conservazione dei dati per TikTok, obbligando la piattaforma a conservare documenti relativi ai rischi sistemici che potrebbero minacciare i processi elettorali. Questo include informazioni sui sistemi di raccomandazione e sull’uso di account falsi per manipolare l’opinione pubblica.
TikTok è stata anche invitata a fornire dettagli sul modo in cui affronta i rischi derivanti dall’uso non autentico del servizio, come bot e campagne coordinate. La piattaforma ha dichiarato di aver rimosso alcune reti di account, ma la portata delle manipolazioni rimane oggetto di indagini approfondite.
La Commissione Europea, in base al Digital Services Act, mira a garantire che TikTok rispetti gli obblighi di trasparenza e sicurezza, evitando interferenze in ulteriori elezioni all’interno dell’Unione Europea.
Cosa non torna dal rapporto dell’intelligence sulle elezioni in Romania?
Mancanza di prove convincenti
I documenti di intelligence non forniscono prove concrete di interferenze straniere o manipolazioni. Al contrario, si basano su parallelismi circostanziali con presunti metodi russi utilizzati in altri contesti (ad esempio in Ucraina e Moldavia). Pur documentando una campagna su TikTok a favore di Călin Georgescu, con 25.000 account coordinati tramite Telegram, mancano evidenze definitive di:
- Amplificazione artificiale (ad esempio, bot o account falsi).
- Finanziamenti esteri o coinvolgimento diretto di attori statali.
- Un chiaro nesso causale tra la campagna e i cambiamenti nel comportamento degli elettori.
L’esistenza di campagne coordinate sui social media non è di per sé né sospetta né insolita, ma rappresenta una pratica standard nella politica moderna a livello globale.
Errata interpretazione dell’attività nella Campagna Elettorale
Le attività descritte—canali Telegram coordinati, pagamenti a influencer, messaggi specifici—sono in linea con le normali strategie di marketing digitale. Le tariffe riportate per gli influencer (400 lei per 20.000 follower o 1.000 euro per video promozionale) rientrano nei parametri di mercato. Questo solleva dubbi sul fatto che la campagna sia stata ingiustamente etichettata come dannosa solo per la sua efficacia o sofisticazione.
Parallelismi circostanziali vs prove concrete
L’affidamento dei documenti a paralleli con operazioni russe è problematico. Comportamenti come l’attivazione di account dormienti durante le elezioni sono comuni quando cresce l’interesse politico e non solo in Romania. Insinuare manipolazioni senza prove tecniche di amplificazione o account falsificati confonde la linea tra campagne strategiche e interferenze malevole.
Influenza sugli Elettori e efficacia non dimostrata
Sebbene la campagna possa aver aumentato la visibilità di Georgescu, i documenti non forniscono metriche di coinvolgimento complete, come:
- La reale portata e impatto dei contenuti oltre il numero di visualizzazioni.
- Quanti elettori hanno effettivamente cambiato preferenza.
- Se questa campagna sia stata determinante rispetto a fattori tradizionali come politiche, copertura mediatica o insoddisfazione generale per gli altri candidati.
Precedente più ampio
Annullare un’elezione basandosi sull’esistenza di una campagna social coordinata è senza precedenti. Stabilendo questo standard, la corte rumena rischia di:
- Minare i processi democratici invalidando le elezioni basandosi su sospetti piuttosto che su prove.
- Creare un precedente che potrebbe essere usato per contestare risultati scomodi sotto la giustificazione di combattere interferenze.
- Scoraggiare campagne politiche legittime per il timore di accuse simili.
Danneggiare la Democrazia per proteggerla: analisi dell’autore
Quanto accaduto in Romania rappresenta il primo caso di elezioni annullate a causa dell’influenza della rete. Non è chiaro, vista l’assenza di prove inconfutabili, se la causa principale sia stata la presenza di un candidato contrario alle posizioni di Bruxelles o un’ingerenza russa. Tuttavia, è evidente che i servizi di intelligence rumeni, strettamente collegati agli Stati Uniti, abbiano un ruolo importante, considerando anche il forte interesse della NATO in Romania, con la costruzione di diverse basi militari installate per far fronte all’invasione militare del Cremlino: soggetto accusato di sponsorizzare il candidato vincente.
D’altra parte, è altrettanto rilevante la presenza di una componente russa che, attraverso strumenti democratici, potrebbe aver influenzato i cittadini rumeni, configurando una sorta di “conquista pacifica” a botte di post sui social network. Questo porta a una riflessione cruciale: indipendentemente dall’eventuale ingerenza verificatasi sul social network cinese, la situazione suggerisce un interrogativo più ampio.
L’Europa, che si proclama baluardo dei principi democratici, è davvero disposta ad applicare tali principi in ogni circostanza?
Le elezioni continuano ad avere un ruolo determinante, o sono percepite come una minaccia per l’establishment?
Per la Romania, le elezioni rappresentano un pericolo per il potere costituito ma, al contempo, restano un patrimonio da tutelare come dovrebbe essere in ogni democrazia.
Un parallelismo può essere tracciato con le ultime elezioni statunitensi, dove il social network di Elon Musk ha avuto un ruolo rilevante per Donald Trump. Nonostante le accuse di favoritismi da parte di Musk, che avrebbe amplificato le visualizzazioni di Trump e del Partito Democratico, emerge un tema chiave:
perché l’Unione Europea non interviene costantemente contro le grandi piattaforme che, attraverso forme di censura, sostengono in modo evidente le narrazioni europeiste?
Il rischio è che, indipendentemente dal volere popolare, prevalga una narrazione costruita nel medio-lungo periodo, orientata a eliminare voci contrarie all’interno dell’arena democratica. Questo potrebbe portare a un punto di rottura: se il processo fosse davvero così, l’Occidente perderebbe il ruolo di modello democratico globale, e la sua democrazia non potrebbe più essere considerata un faro per il resto del mondo.
Proprio per questo motivo, ironia della sorte, la decisione di annullare l’elezione potrebbe fare più danni alla democrazia di qualsiasi presunta manipolazione. Intervenendo sulle scelte degli elettori basandosi su accuse non provate, le autorità rischiano di erodere la fiducia pubblica nei processi elettorali. Questo approccio potrebbe incoraggiare altri governi a usare accuse simili per reprimere il dissenso o annullare risultati non graditi ed il caso Georgia rappresenta il caso da scongiurare dove i democratici europeisti imbracciano la protesta violenta per sovvertire l’esito elettorale.
La decisione della Corte Costituzionale rumena sottolinea l’importanza di prove chiare e trasparenza nelle decisioni che riguardano i processi democratici. Sebbene sia fondamentale proteggere le elezioni da interferenze, azioni intraprese senza prove concrete rischiano di delegittimare le istituzioni stesse. Questo caso dovrebbe servire da monito sul delicato equilibrio tra sicurezza nazionale e integrità democratica.
-
Smartphone1 settimana ago
Realme GT 7 Pro vs Motorola Edge 50 Ultra: quale scegliere?
-
Smartphone1 settimana ago
OnePlus 13 vs Google Pixel 9 Pro XL: scegliere o aspettare?
-
Smartphone1 settimana ago
Samsung Galaxy Z Flip 7: il debutto dell’Exynos 2500
-
Smartphone7 giorni ago
Redmi Note 14 Pro+ vs 13 Pro+: quale scegliere?
-
Sicurezza Informatica5 giorni ago
BadBox su IoT, Telegram e Viber: Germania e Russia rischiano
-
Economia1 settimana ago
Controversie e investimenti globali: Apple, Google e TikTok
-
Sicurezza Informatica10 ore ago
Nvidia, SonicWall e Apache Struts: vulnerabilità critiche e soluzioni
-
Sicurezza Informatica6 giorni ago
PUMAKIT: analisi del RootKit malware Linux