Lo scandalo USAID sta assumendo proporzioni enormi con il passare del tempo nel silenzio omertoso generale del vecchio continente. Dopo che Elon Musk e Donald Trump hanno deciso di interrompere i finanziamenti destinati a questo ente — che si occupa di sviluppare progetti benefici in vari Paesi del mondo, utilizzando fondi dei contribuenti statunitensi — si è generato malcontento su scala mondiale. Tuttavia, tale malumore sembra provenire principalmente da organi di stampa, media e figure politiche appartenenti a un’area ben definita, ossia quella del Partito Democratico statunitense, sostenuto dalle ramificazioni mondiali di alcuni suoi maggiori donatori, tra cui George Soros. È responsabile, attraverso il proprio contributo economico, di promuovere politiche turbo progressiste, o “woke” in senso dispregiativo, che spesso includono progetti di inclusione sociale ritenuti da Donald Trump soltanto fonte di scherno, come ha affermato in un suo discorso alla Casa Bianca.
Soldi per la beneficenza ai Dem
Il nodo centrale della vicenda USAID consiste nel fatto che, tramite questi fondi, si sarebbero finanziate attività mediatiche in aperto contrasto con gli interessi di governi stranieri. Una vera ingerenza che lo stesso Vladimir Putin, nell’intervista rilasciata a Tucker Carlson, aveva indicato come “impossibile da combattere su scala mondiale”, proprio a causa della penetrazione statunitense nei sistemi mediatici di tanti Paesi, Italia compresa.
Curiosamente, la maggior parte dei media non ha dedicato particolare risalto alle novità emerse, sia sui progetti dal carattere insolito finanziati da USAID, sia sul fatto che all’interno di questi flussi di denaro comparissero società di comodo, alcune perfino riconducibili a Chelsea Clinton, figlia di Bill Clinton in paradisi fiscali.
La notizia ha trovato eco solo quando la Corte Suprema statunitense si è espressa sul blocco dei fondi di USAID, ma anche in questo caso la comunicazione è stata spesso semplificata: non è vero, infatti, che sono stati sbloccati tutti i 45 miliardi, bensì soltanto quelli destinati a pagare opere già concluse o in via di completamento — un principio logico e in linea con qualsiasi normativa sugli appalti e la tutela del mercato.
Wikileaks e le indiscrezioni sui media finanziati da USAID
WikiLeaks ha rivelato che l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID) ha finanziato con 472,6 milioni di dollari l’organizzazione non governativa Internews, sollevando preoccupazioni riguardo alla possibile influenza e controllo sui media globali.
Internews, fondata nel 1982, è attiva in oltre 70 paesi e si occupa di promuovere l’informazione indipendente e la libertà di stampa. Tuttavia, le recenti rivelazioni indicano che una parte significativa dei suoi finanziamenti proviene da fonti governative statunitensi, in particolare dall’USAID.
Secondo i documenti trapelati, Internews ha collaborato con 4.291 media outlet, producendo 4.799 ore di trasmissioni in un solo anno e raggiungendo fino a 778 milioni di persone a livello globale. Questo livello di coinvolgimento solleva interrogativi sull’indipendenza editoriale delle organizzazioni mediatiche coinvolte e sulla possibilità che tali finanziamenti possano essere utilizzati per influenzare la copertura delle notizie in linea con gli interessi del governo degli Stati Uniti.
Inoltre, è emerso che l’87% dei finanziamenti di Internews Network proviene da fonti governative statunitensi, il che ha alimentato ulteriormente le preoccupazioni riguardo alla sua indipendenza. Queste rivelazioni hanno portato a un dibattito sull’etica del finanziamento governativo delle organizzazioni mediatiche e sulla necessità di garantire la trasparenza e l’indipendenza dei media a livello globale.
Inoltre, è stato osservato che i principali media mainstream non hanno dato ampia copertura a queste rivelazioni, sollevando ulteriori preoccupazioni riguardo alla trasparenza e all’integrità del giornalismo contemporaneo oramai ben consolidato dietro il Ministero della Verità allestito ai piani alti di Bruxelles. Questo caso sottolinea l’importanza di un giornalismo indipendente e trasparente, libero da influenze esterne, per garantire una corretta informazione al pubblico.
Internews, IFCN e il sistema di fact-checking
Internews è un’organizzazione non-profit che opera in oltre 100 Paesi per sostenere i media indipendenti e contrastare la disinformazione. Il suo approccio si basa sulla formazione dei giornalisti, sulla promozione della libertà di Internet e sul rafforzamento delle capacità locali di fact-checking. Internews ha sviluppato strumenti educativi, tra cui guide e toolkit, per insegnare tecniche di verifica delle informazioni, collaborando con varie organizzazioni internazionali.
L’International Fact-Checking Network (IFCN) e il fact-checking globale
L’International Fact-Checking Network (IFCN), fondato dal Poynter Institute nel 2015, è un consorzio che coordina e certifica le organizzazioni di fact-checking nel mondo. Gli aderenti devono rispettare un Codice dei Principi, che include criteri di imparzialità, trasparenza metodologica e finanziaria, nonché procedure di correzione. Attualmente, circa 170 organizzazioni in oltre 80 Paesi fanno parte della rete IFCN. Il network collabora con le piattaforme digitali e organizza eventi globali, tra cui la conferenza Global Fact e l’International Fact-Checking Day. IFCN ha avuto un ruolo nella definizione delle partnership tra i fact-checker e le piattaforme come Facebook per il contrasto alle notizie false.
Collaborazione tra Internews e IFCN
Internews e IFCN collaborano attraverso diversi programmi. Internews ha aiutato testate emergenti a ottenere la certificazione IFCN fornendo formazione su metodologie di fact-checking. Inoltre, Internews adotta il Codice IFCN come standard di riferimento nei suoi progetti. La collaborazione si estende anche alla creazione di strumenti educativi e alla partecipazione congiunta a eventi dedicati alla verifica delle informazioni.
Testate italiane aderenti all’IFCN
In Italia, alcune testate hanno ottenuto la certificazione IFCN, impegnandosi a rispettarne gli standard:
- Pagella Politica: attiva dal 2012, si occupa del fact-checking delle dichiarazioni politiche e collabora con Facebook per il contrasto alla disinformazione.
- Facta.news: nata nel 2020, verifica notizie di vari ambiti, inclusa la cronaca virale e la pseudoscienza.
- Lavoce.info (rubrica di fact-checking): specializzata nell’analisi di dichiarazioni economiche, con valutazioni basate su dati ufficiali.
- Open (sezione Fact-checking): attiva dal 2018, verifica le notizie false circolanti sui social media e pubblica smentite documentate.
Criticità del sistema di fact-checking
Meta ha ridimensionato il suo programma di partnership con i fact-checker, una decisione criticata dall’IFCN. Inoltre, il fact-checking incontra difficoltà nel raggiungere alcuni segmenti di pubblico, in particolare quelli più esposti alla disinformazione. In Italia, il Centro IDMO (Italian Digital Media Observatory) è stato creato per coordinare gli sforzi di contrasto alla disinformazione, coinvolgendo università, media e istituzioni tanto da diventare un ministero della Verità ideato, guarda caso, dal PD Gentiloni e ospitato dalla LUISS sotto la direzione di Gianni Riotta anche lui interno al PD.
L’Italia ha preso soldi da USAID?

In questo contesto, spicca la questione del coinvolgimento italiano, al centro di numerose ipotesi. Secondo alcuni, l’ingerenza sarebbe manifesta, ma nella realtà dei fatti non esistono collegamenti diretti di singoli giornalisti italiani con USAID; invece, sono stati rilevati finanziamenti alla Chiesa Cattolica e, attraverso la società Internews, a due attori fondamentali che sponsorizzano il Festival del Giornalismo in Italia: da un lato, la Craig Newmark Philanthropies , e dall’altro, Google News, sponsor del festival insieme alla Open Society Foundation e Microsoft in affanno sul fronte dell’informazione e soggetta ai ranking Newsguard.

Inoltre, varie ricerche mostrano come diversi giornalisti italiani abbiano partecipato, anche se in passato, a corsi di formazione o tavoli di aggiornamento realizzati con i fondi di USAID. Tutto ciò incide inevitabilmente sulla qualità e sull’impostazione dell’informazione in ambito nazionale ed un potere che nemmeno Meloni è riuscita a scalfire, adeguandosi al sistema.
Morta USAID resta “EUAID”
Nel frattempo, negli Stati Uniti si registra un cambio di rotta, soprattutto dopo la presa di posizione di Musk e Trump. Secondo molti osservatori, i flussi finanziari si sposteranno verso testate più vicine alle posizioni del repubblicano e dello stesso Elon Musk, mentre l’Europa, dal canto suo, proseguirebbe lungo la scia tracciata da USAID. Le ragioni di questa divergenza vanno ricercate nell’influenza delle lobby di Google a Bruxelles e nella scelta politica di mantenere un orientamento progressista, sostenuto da potenti burocrati manovrati dai magnati e che troverebbe una sintesi ideologica nell’agenda del World Economic Forum oggi in crisi a causa della presenza di Trump al governo USA e molto limitata nella sua capacità di diffondersi ed attuarsi nella sfera euroatlantica. In definitiva, si profila un contesto in cui il Vecchio Continente, perlomeno a livello istituzionale, sembra voler conservare una strategia coerente con gli imprinting globalisti, mentre negli Stati Uniti, il nuovo corso avviato da Trump e Musk sta producendo una frattura ben più marcata rispetto al passato.
Un imprinting che, in sostanza, ci mette di fronte a una situazione di fatto: all’interno delle piattaforme social, ormai “abbandonate” dallo stesso Mark Zuckerberg sul fronte della censura negli Stati Uniti, assistiamo invece, nel contesto europeo, a forme di censura totale nei confronti degli utenti, in particolare di giornalisti e testate giornalistiche vittime degli stessi algoritmi. Non sorprende, dunque, che nel Vecchio Continente, e soprattutto in Italia, alcune figure della LUISS e, guarda caso del Vaticano, come il prof. Paolo Benanti e il professor Sebastiano Maffettone – il primo responsabile del Comitato per l’Intelligenza Artificiale nell’Editoria del governo italiano – invocano una “censura mascherata” da lotta ai tecnocrati, ritratti come i principali veicoli di informazioni false nel sistema mediatico europeo ed individuano nel protezionismo di Musk sui confini contro le politiche immigratorie e nella troppa libertà di espressione di X un pericolo per le democrazie occidentali.
La realtà, però, sembra diversa. Questi “falsi profeti” omettono di ricordare che la stessa LUISS, a più riprese, ha promosso progetti favorevoli allo “shadow ban” nelle piattaforme social ed ha come direttore della scuola di giornalismo un referente dei Dem statunitensi e della società NewsGuard, famosa per aver condotto campagne discriminatorie su alcune tematiche sensibili spacciandole per false e che in realtà erano vere, che risponde al nome di Gianni Riotta. Se nell’ambiente illuminato da luci a stelle e strisce, Riotta è considerato un dem di ferro, al di fuori del mondo reale, quello della povera gente e dei giornalisti disgraziati, echeggiano su di lui le parole di “opposto del giornalismo” date da Glenn Greenwald e dai dossier Wikileaks che giustificano l’odio viscerale dello stesso direttore della scuola di giornalismo nei confronti di Assange. Questo fenomeno, quello dello shadow ban che i vari Benanti e Maffettone ignorano, inizialmente smentito, è stato poi confermato dai gestori delle piattaforme social e persiste, ad esempio, nell’universo Meta operante in UE. Inoltre, è singolare che a guidare la crociata contro la tecnocrazia e in nome di presunti valori etici siano due professori dal profilo principalmente teorico, senza alcuna esperienza da editori o conduzione di progetti editoriali. Nel caso del professor Maffettone, basti pensare al suo ruolo di consulente per la cultura in Regione Campania sotto la presidenza di Vincenzo De Luca, incarico che non ha lasciato segni tangibili tra i cittadini.
Ci troviamo dunque in un’Europa in cui il mercato si regola in base a rapporti privati e teorie politiche, spesso in contrasto con i principi del sentiment europeo, e si promuove la propaganda di una “voce unica”, giustificando la censura con argomenti come la lotta alle fake news o alla propaganda russa. Per quanto alcune di queste motivazioni possano avere un fondamento, c’è il rischio che diventino pretesti per consolidare un potere che, negli Stati Uniti, sta progressivamente perdendo terreno, e non è detto che venga sostituito da uno nuovo, ma in Europa appare ancora saldo e ramificato così tanto da sollevare l’avvertimento di Vance alla conferenza sulla sicurezza di Monaco che, però, è rimasto inascoltato ed i giornali, compresi i giornalisti ed il giornalismo continuano a morire nell’immaginario collettivo.